La dico banale: mi piacerebbe che dall’Assemblea di oggi uscisse una linea che conduce da qualche parte. Uniti, divisi, proporzionalisti, maggioritari, poco importa, purchè si capisca in che direzione stiamo andando. E lo si capisse al punto che sui giornali di domenica potessimo leggerlo nei titoli. Dopotutto è questo il problema del Pd, e non è un problema da poco, me ne rendo ben conto: capire, nella situazione data, cosa possa fare, dato che galleggiare stanca.
So bene che doversi opporre ogni giorno alle schifezze del governo e delle forze che lo compongono assorbe molte energie e tempo. Ma evidentemente non basta per interessare gli italiani, i quali danno per scontato che una forza di opposizione si opponga. Forse si potrebbe lasciare questo lavoro di opposizione, importantissimo sia chiaro, ai gruppi parlamentari che, per rendersi maggiormente visibili, potrebbero occupare anche il foro esterno: ricordo che quindici anni fa, in una condizione parlamentare analoga, Violante (capogruppo Ds), Intini (Psi) e il sottoscritto (Margherita), per mesi e mesi, tutti i fine settimana eravamo nelle piazze delle città italiane a raccontare e discutere di come facevamo opposizione in aula.
Ma devono esserci anche altri luoghi in cui contemporaneamente si lavora a definire il profilo di una possibile Italia diversa. Anche qui con periodicità altrettanto ravvicinata e con strumenti di lavoro (gruppi, forum tematici, focus group d’”auscolto” come li chiamava Moro, feste tematiche, laboratori di comunicazione, formazione di squadre di “similtestimonidigeova” che con analoga gentilezza e preparazione organizzino visite guidate ai condomini delle periferie, ecc.) veramente innovativi e finalizzati a precisi obiettivi politici. Insomma la gente deve accorgersi che c’è chi sta lavorando a un’altra idea di paese.
Su quali focus il Pd dovrebbe concentrarsi? E’ evidente che la scelta è difficile perché sono tantissimi i temi scoperti o sbagliati dall’azione del governo, su cui ovviamente non si può mollare l’osso: accoglienza e integrazione dei rifugiati, lavoro, famiglie, denatalità, scuola, equità fiscale, periferie, ecc.
Io però concentrerei l’elaborazione e la proposta del Pd su quattro temi identificativi della sua anima culturale e, se fosse possibile dire, persino ideologica: la reinseminazione etica del territorio sociale del paese; la revisione finalistica dei Trattati europei; la lotta sistematica ai cambiamenti climatici; la centralità di una strategia meridionalistica.
Mi piacerebbe che il cosiddetto uomo della strada, oggi spesso prigioniero inconsapevole dell’asfissia da cattiveria, che dalle strade e dai media sta investendo e avvelenando la testa e i polmoni di tutti, potesse dire: “ah il Pd!, quel partito cioè che vuole riportare gli italiani al catechismo della civiltà e dell’umanità, che ha deciso di ingaggiare una battaglia in Europa per riorientrarla alle necessità dei cittadini, che vuole fermare i cambiamenti climatici, che si è messo in testa di cambiare il mezzogiorno liberandolo dalle ingiustizie dalle mafie e dal minore sviluppo”.
Ognuno di questi temi ovviamente va sviluppato, coinvolgendo le migliori intelligenze, anche straniere, anche distanti dalle nostre posizioni, che possono aiutarci pure solo come interlocutori interessati.
Possono essere i titoli di quattro Assemblee nazionali del partito, o quattro convegni nel prossimo autunno.
Importante è uscire dall’attuale condizione di tutto e niente, di caldo e freddo: la Scrittura non contempla misericordia per i tiepidi.
Tratto da un articolo di Democratica del 12 luglio.
Credo si possa dire che l’esempio di Reggio (che alcuni hanno ribattezzato “Peggio”) sia il monito dissuasivo per coloro che ancora hanno una residua propensione a votare a sinistra. “Peggio” è l’archetipo di tutto ciò che le persone libere detestano. “Peggio” è una città in cui il potere anela a insinuarsi in ogni cosa; è il luogo in cui lo zelo dei burocrati nell’applicazione di misure vessatorie supera lo spirito stesso delle leggi; è il luogo in cui la forza dei privati è costretta a genuflettersi all’amministrazione, che poi spaccia la propria ingerenza come proficua collaborazione pubblico/privato; è il luogo in cui la prossimità al potere può offrire ogni possibilità di deroga a limiti altrimenti tassativi; è la città in cui le scelte che dovrebbero essere private, personali, vengono avocate dalla maggioranza (l’esatto opposto di quanto raccomandato da quel grande filosofo del diritto che era Bruno Leoni); è il luogo in cui la cappa del conformismo condanna chi sostiene che la generosità verso il prossimo non è testimoniata dal costringere altri a sostenerla; è il luogo in cui si spacciano per “cultura” le miserevoli opere degli ultimi servi del potere; è la città in cui il governo locale ha fatto propri tutti i difetti del sovrano che non deve mai rispondere o rendere conto; è il luogo in cui una rete economica senza pari garantisce stipendi ai fedeli al potere locale (tutta la pletora dei dipendenti pubblici, i dipendenti delle cooperative in vario modo sostenute, i dipendenti delle onlus sussidiate, i dipendenti delle partecipate) i quali poi assicurano il voto; è la città in cui la casta al governo istituisce aziende fintamente private cui affidare servizi (magari essenziali) magari in monopolio; è la città in cui le aziende fintamente private garantiscono stipendi sontuosi agli amministratori uscenti; è la città che, soprattutto sotto elezioni, dilapida le risorse sottratte ai cittadini in una girandola forsennata di eventi ora di diletto, ora di pseudocultura; potrei continuare all’infinito …