Sono sempre più convinto che il primo e fondamentale passo, per evitare che la guerra d’Ucraina si aggravi ancora di più, sia una tregua; fermiamo le morti, le distruzioni, gli odii. C’è un altro conflitto, che dura da decenni e che produce lutti e odii feroci: è quello tra Israele e Palestina. In giro per il mondo, ci sono poi guerre e lutti, che ormai non fanno più notizia.
Sono altrettanto convinto, che possiamo accumulare motivazioni politiche, economiche, ideologiche, per invocare la sospensione delle ostilità: ma esse non hanno forza. Possono certamente aumentare la consapevolezza dei governanti e dei popoli, ma essa assomiglia sempre di più alla consapevolezza di chi sta scivolando su un piano inclinato.
Non sono efficaci, a parer mio, neppure le considerazioni morali, qualunque sia l’istanza che le pronuncia. Le guide spirituali mostrano imbarazzo e timidezza, tranne Papa Francesco. La guerra moderna arruola tutti e sacralizza la violenza. Che cosa c’è di più santo del comandamento: “Non uccidere”? Eppure, la storia è piena di aggiustamenti, interpretazioni, relativizzazioni, contestualizzazioni, come si dice con abbondanza di acrobazie lessicali.
Credo che si debba partire dalla sofferenza e dalla povertà dell’uomo. La sofferenza è sotto lo sguardo di tutti, attraverso i mezzi di informazione, ma viene usata per giustificare la guerra, secondo la logica della vendetta; essa serve per confermare la propria parte, per dimostrare che noi siamo nel giusto. Per questo, si dovrebbe considerare anche un altro tipo di povertà: l’incapacità di trovare un cammino diverso, la schiavitù intellettuale e morale che porta ad essere corresponsabili, riluttanti ma rassegnati. Mi angoscia la sicurezza ostentata da tutti i protagonisti, l’irrigidimento nelle proprie convinzioni, nella ripetizione ossessiva di frasi come: “Solo la vittoria ci porterà alla pace”.
Dobbiamo riconoscerci poveri, smantellare i muri delle sicurezze egoiste. In Israele, gli estremisti negano il diritto dei palestinesi ad abitare nella propria terra e la parola “sicurezza” è ormai la giustificazione per ogni violenza e abuso. Ma ciò che sta accadendo a Jenin e Nablus è una tragedia anche per lo stato ebraico, perché ne corrode le radici.
Il male più grande è dunque quello dentro di noi. Per questo, le parole che Gesù pronunzia nel Vangelo di questa domenica ci possono aiutare: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita” (Mt 11,28s.).
La parola di Gesù rivela all’uomo la sua povertà. Coloro che credono hanno una responsabilità in più: rifiutare la via di Gesù, significa rifiutare la sua persona e, di conseguenza, il Dio che egli annuncia, Dio di misericordia e di perdono. Ma, a tutti, viene proposta la via della mitezza e dell’umiltà del cuore. Che cosa può significare? Credo, prima di tutto, il riconoscimento che la via dell’orgoglio è fallimentare. Poi, mitezza vuol dire riconoscere il diritto di tutti; vuol dire anche che la vittoria militare non può portare alla pace, ma a una catena di vendette.
Una tregua delle operazioni militari e l’inizio di un dialogo sono richieste ragionevoli. Ma è necessario il coraggio di opporsi a resistenze che sono anzitutto nel cuore di ciascuno. Gesù invita a “venire a lui”: anche se tante volte i suoi seguaci non l’hanno ascoltato, egli non si stanca di mostrarci la sua via e di offrirci consolazione, perché un nuovo inizio è sempre possibile. “Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,37).
Questa guerra , come tutte le guerre in corso ha motivazioni solo e soltanto economiche, l’industria delle armi sfruttando ignoranza e avidità di chi governa fomenta l’odio tra i popoli.
Chi produce commercializza e utilizza armi deve avere il disprezzo totale a prescindere, deve essere tolto a chi li rappresenta il diritto di parola e rappresentanza.