Tre domande ad Antonio Cenini

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Antonio Cenini, candidato alle elezioni europee per Forza Italia, circoscrizione Nord Est: Emilia-Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige.

Cenini, si presenti: “Emiliano, cattolico, liberale, sposato e padre di 4 figli. Laureato a Bologna in Scienze diplomatiche e internazionali, da oltre 20 anni lavoro a Bruxelles come dirigente dello Stato e funzionario, attualmente al servizio presso la commissione industria, ricerca ed energia del Parlamento europeo. E lì vivo con la mia famiglia. Attualmente sono presidente del Consiglio superiore delle scuole europee.

1) Cenini in Europa si occupa della politica industriale e della competitività: in che misura le decisioni prese a Strasburgo si ripercuotono sulla filiera agroalimentare del nostro territorio?

Oltre il 70% delle norme che si applicano in Italia sono prodotte dall’Ue, in particolare quelle che riguardano le filiere produttive dell’industria e dell’agroalimentare. L’Italia è un caso unico per la tipicità del proprio settore produttivo basato sulle filiere, prodotti Dop e Igp. Purtroppo, anche per mancanze nostre, sinora l’Italia non ha saputo incidere adeguatamente sui processi decisionali europei, subendo decisioni fatte su misura per realtà produttive diverse, tipiche del Nord Europa.
La presenza a Parma dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare è l’esempio concreto di come si possa incidere positivamente sulle decisioni europee a proprio favore quando ci sono competenza, conoscenza e capacità di creare relazioni con gli altri Stati.

Lei ha affermato: «L’ambientalismo ideologico ha prevalso in Europa sulle posizioni pragmatiche e moderate» Quali sono, come ha sostenuto, le «misure assurde e incompatibili con la sopravvivenza delle nostre filiere produttive» inseguite e/o approvate dal Parlamento Ue?

Sono numerosi i provvedimenti europei figli del cosiddetto green deal potenzialmente dannosi per le nostre imprese e per la nostra agricoltura: il regolamento che prescrive lo stop ai motori endotermici; la direttiva sui pesticidi e il regolamento sul packaging. Quest’ultimo, in particolare, perché l’Italia, nel corso degli anni, è diventata leader nel riciclo delle plastiche e degli imballaggi, in nome dell’economia circolare. Invece, improvvisamente, spinta da furia ideologica, la Commissione Europea ha deciso che non bisogna più riciclare, ma riutilizzare, mettendo a rischio un’intera filiera industriale e migliaia di posti di lavoro. Sul packaging siamo riusciti ad ottenere modifiche delle parti più dannose per la filiera e il rinvio di alcune norme, ma la battaglia è tuttora in corso.
Dobbiamo riconciliare la tutela dell’ambiente con la crescita economica. Insieme al Partito popolare europeo ci impegniamo ad adottare, come prima misura della prossima legislatura europea, l’abolizione del divieto già deciso, dal 2035, della produzione e vendita delle automobili a motore termico. Le batterie al litio per le auto elettriche contengono, purtroppo, un grande quantitativo di metalli pesanti e di sostanze tossiche e c’è ancora molto da fare per il loro smaltimento.

Quale sarà il programma di lavoro per i prossimi cinque anni di Fi e dei popolari in Europa? Indichi i punti più importanti.

Con il Ppe ci impegneremo a rendere l’Europa più trasparente tramite una revisione dei trattati, finalizzata a dare al Parlamento Europeo il potere di iniziativa legislativa; a eliminare il diritto di veto in Consiglio che blocca tutte le decisioni più importanti per l’Italia, su tutte la realizzazione di una vera politica per il contrasto all’immigrazione illegale. Vogliamo, inoltre, rivedere la politica agricola comune, per dare ossigeno ai piccoli imprenditori agricoli. Vogliamo anche rivedere la politica commerciale europea per contrastare la concorrenza sleale dei prodotti provenienti da Paesi che non rispettano standard ambientali, di qualità e le condizioni di lavoro europei.
L’Europa non ha il potere di fare tutto e, spesso, quelli che strillano, dicendo che l’Europa non fa niente, sono gli stessi che impediscono di dare maggiori poteri decisionali all’Europa, spesso disertando i luoghi dove in Europa si prendono le decisioni.




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