I casi di depressione post Covid si sono quintuplicati in Italia, secondo i numeri diffusi nella Giornata mondiale della salute mentale, celebrata sabato scorso. Gli esperti si attendono nei prossimi mesi 150mila nuovi casi di depressione maggiore, un disturbo molto serio e di non facile cura. A essere più colpite dalle diverse forme depressive sono in maggioranza le donne e, in misura più o meno omogenea e senza distinzione di genere, le persone con reddito al di sotto dei 15mila euro annui, i disoccupati e chi già soffre di isolamento sociale o di dipendenza da sostanze.
Osservando questi dati ho ripensato, per evidente paradosso, al tema focale contenuto nel nuovo Dpcm, ossia la disciplina delle “feste private”. Per almeno quarantott’ore i principali titoli di tv e giornali sono stati dedicati a questo fenomeno di cui sino al giorno prima, senz’altro per negligenza, avevo sottovalutato priorità e valore.
Possibile che in tutta Italia, trasversalmente alle età e alle abitudini, e ovviamente dal Brennero a Lampedusa, si metta ai vertici del proprio cosiddetto tempo libero l’organizzazione di feste? Confesso: non me ne ero accorto. Al di là delle ricorrenze familiari o religiose, le feste private mi ricordano le “cene eleganti” offerte da Silvio Berlusconi al suo vasto entourage. Ma davvero gli italiani passano le proprie serate in casa con il karaoke e i trenini tra sala e corridoio?
Sarà così. Eppure, la giustapposizione tra divertimento domestico e depressione maggiore genera un cortocircuito sul quale è forse utile riflettere. Siamo sicuri di avere imparato qualcosa dall’inedita esperienza della pandemia? Ne abbiamo tratto qualche insegnamento?
Ci sono stati grandi esempi di bellezza etica nei mesi del lockdown. Ne abbiamo letto, ci sono stati raccontati e in qualche caso li abbiamo vissuti da vicino.
Il fatto è che non ne siamo fuori. Anzi: l’estate ha portato un senso di liberazione e ne abbiamo approfittato. Dimenticando in molti casi il principio di precauzione. Peggio di noi sta andando ai cugini europei. Londra, Parigi, Madrid stanno sperimentando nuove forme di locali lockdown. Non ci siamo comportati peggio di altri. Magra consolazione.
Per uscire dalla depressione che sta accompagnando il ritorno della stagione fredda abbiamo bisogno di sostegni autentici e talvolta dimenticati. Ne va della salute della nostra mente ed è indispensabile per uscire a riveder le stelle. Una buona attitudine verso il ritorno a un prima che mai come adesso ci appare privo di guai e di preoccupazioni è utile a ogni aspetto della nostra vita. A chi ci è vicino, a chi sta peggio di noi, ma anche al senso del nostro essere.
Un senso che ritroviamo anche nel lavoro, se non lo abbiamo già perso: perché l’impronta dell’homo faber è tuttora presente nella maggior parte di noi. Difficile stare bene nella miseria e nella tristezza. Pochi sono i giganti della Storia che vi sono riusciti, a iniziare da San Francesco d’Assisi. Ma parliamo di santi.
Mai come in questo momento abbiamo bisogno di sentirci vicini, almeno spiritualmente. A livello inconscio abbiamo creduto che con la fine del lockdown il virus fosse stato sconfitto. È la nuova grande crisi che ci mette paura e condiziona la nostra capacità di ripresa. Il futuro ci sembra fosco. Chi sta peggio si ammala.
Anche per questo ci possiamo sentire sollevati dal diniego del Quirinale e del governo alla incauta chiamata alla delazione del ministro Speranza. I nostri vicini siamo noi stessi. Concordia ed empatia sono fondamentali per ritrovare il nostro volto migliore. Anche se è dura, proviamo a crederci.
Assolutamente d’accordo, Direttore. Forse ci siamo proprio dimenticato che noi SIAMO gli altri. I cosiddetti “altri” da noi. I nostri simili siamo noi. Non semplicemente “come” noi. Ma proprio fatti della stessa sostanza e pervasi dallo stesso Spirito. E, nel panorama internazionale, ci sono solo Papa Francesco e il Dalai Lama a ricordarcelo. Grazie.