Trama: il solito personaggio di Zalone un po’ stralunato e un po’ furbacchione, che per una ragione non proprio limpida si ritroverà da Spinazzola (Puglia) a un villaggio turistico in Kenya (Africa), e dal Continente nero (si può dire?) intraprenderà, non senza guai, il viaggio di ritorno. Una strada inzuppata di luoghi comuni appartenenti tanto “ai sostenitori della contaminazione fra culture diverse” quanto ai sostenitori “dell’aiutiamoli a casa loro”, con le varie sfumature in un senso e nell’altro.
Intorno a Pier Francesco Zalone, il nome del protagonista, si muovono mondi diversi dal resort per ricchi italiani annoiati, evasori e snob a villaggi indigeni (si può dire?); dalle bande armate che ivi vi scorrazzano a giornalisti laccati e palestrati a caccia del bel racconto strappalacrime da sciorinare a noi cittadini dell’Occidente dalla lacrima facile.
“Tolo” in portoghese significa: stupido, sciocco, allocco, ignorante, ecc., un titolo che calza come un guanto al protagonista Checco (ma anche a molti personaggi che gli ruotano attorno), che così vuol essere chiamato, perché il nome intero gli «ruba i sogni». Infatti, il film rimbalza fra la realtà e i sogni di Checco, che irrompono nel corso della narrazione, spingendola in territori ancor più surreali della “realtà” già di per sé surreale.
Il film non mi è piaciuto. Lo classificherei un B-movie, ossia un film di bassa qualità.
Guardandolo mi domandavo – e lasciamo da parte, per un attimo, i contenuti – ma è lo stesso stile dei Vanzina, dei Christian De Sica, insomma di tanta cinematografia italiana (con alcune eccezioni come Salvatores e Sorrentino) che a mio parere non distingue televisione e cinema, con il risultato di fornire scene piatte e senza profondità. Più che lo schermo di un cinema sembra di essere seduti davanti al video di un’enorme televisore.
Sui contenuti, e torniamo al nostro film, sono perplesso. Non certo perché qualcuno ne ha evidenziato i tratti politicamente scorretti – che io alle volte invoco per rompere un certo sentore di ipocrisia che non aiuta a comprendere la realtà in cui viviamo, anzi spesso può alimentare sentimenti contrari – ma sulla scelta della narrazione. Può darsi che serva per far riflettere tanti di noi che leggono il problema immigrazione solo con luoghi comuni e/o per sentito dire senza soffermarsi più di tanto sulle vite di chi deve affrontare inenarrabili peripezie per una vita almeno senza violenza. O possa servire a chi idealizza la persona che “viene da noi” come un “santo” a prescindere.
A Zalone riconosco una certa leggerezza ad affrontare temi che spesso si affrontano solo corrugando la fronte, facendo il broncio e versando lacrime. Questa attitudine, però, non lo promuove a regista capace di raccontare storie. Non ha fatto altro che appiccicare uno sketch all’altro, solo per arrivare ai canonici 90 minuti di spettacolo.
(Regia di Checco Zalone. Un film con Checco Zalone, Souleymane Silla, Manda Touré, Nassor Said Berya, Alexis Michalik. Genere Commedia – Italia, 2020, durata 90 minuti Recensione di Glauco Bertani)
Visto al cinema “Cristallo” di Reggio Emilia il 3 gennaio 2020
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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