Lo scorso novembre, con una decisione a sorpresa, la Corte d’assise di appello di Bologna ha rinviato di oltre un anno il processo di secondo grado all’ex componente dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari) Gilberto Cavallini, che nel gennaio del 2020 era stato condannato in primo grado all’ergastolo per concorso nella strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980: l’appello non si terrà più, come inizialmente previsto, a partire dal prossimo 12 gennaio, ma la prima udienza è fissata al 19 aprile 2023.
La difesa di Cavallini, alla luce di quel rinvio, ha chiesto ora alla corte di assise di appello di poter anticipare lo svolgimento di un’integrazione della perizia genetica sui resti trovati nella tomba di Maria Fresu. In primo grado le analisi avevano concluso che il Dna di un lembo facciale, presente nella bara della donna morta insieme alla figlia Angela il giorno dell’attentato, non fosse in realtà attribuibile a lei, facendo ipotizzare la possibile esistenza di un’ottantaseiesima vittima, finora esclusa dal bilancio ufficiale della strage.
I legali di Cavallini, in vista dell’appello, avevano già chiesto di poter fare un nuovo prelievo di campioni di Dna da quei resti, per ricavare dati genetici utili per la valutazione dell’origine ancestrale (risalire ad esempio all’etnia della persona) e per la predizione del fenotipo (colore degli occhi, capelli e pelle).
Secondo i giudici, tuttavia, quel tipo di accertamento non poteva che essere svolto con una nuova perizia, eventualmente da disporsi nel corso del giudizio di appello: una posizione accettabile, per i difensori di Cavallini, se la prima udienza fosse rimasta fissata a inizio 2022, ma con il rinvio al 2023 “l’attesa è incompatibile con le esigenze di difesa dell’imputato”, motivo per il quale è stato chiesto di disporre la perizia in anticipo rispetto all’inizio del processo di secondo grado.
Per la difesa di Cavallini l’analisi è ritenuta di fondamentale importanza, dal momento che il lembo trovato nella bara di Fresu “non può che riferirsi a persona sconosciuta, di sesso femminile, al momento dell’attentato vicinissima alla fonte esplosiva, com’è dimostrato dalla natura particolarissima della lesione facciale”. La vittima sconosciuta, hanno ricordato i legali, “non è mai stata reclamata da alcuno ed è questo il secondo dato particolarissimo da osservare, oltre a quello che non vede ritrovato il corpo di Maria Fresu”; per gli avvocati Bordoni e Pelelgrini la Corte “potrà disporre, nei modi che riterrà, la comparazione tra il Dna delle sette vittime femminili con lesioni al cranio e quello del lembo facciale ritrovato nella bara di Maria Fresu”.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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