La solenne celebrazione del centenario del Primo Tricolore, svolta a Reggio Emilia il 7 gennaio 1897, ci offre una fotografia chiara, quanto nessun’altra, dei rapporti politici esistenti tra moderati e socialisti, della diffidenza reciproca, dell’incompatibilità tra clericali e socialisti. Le cronache del tempo parlano, nonostante la fama dell’oratore, di una presenza non troppo numerosa, ma molto qualificata di intellettuali, poeti e nobili. Mancavano il popolo e gli aderenti ai partiti d’opposizione. Assenza importante, ma sottovalutata.
A cento anni di distanza appariva, infatti, alquanto strano che a festeggiare il primo Tricolore ci fossero molti eredi di coloro che o l’avevano osteggiato o l’avevano subito. Erano trascorsi cento anni da allora ma le condizioni politiche e quelle economiche non erano sostanzialmente mutate.
Alle soglie del XX sec. permanevano ancora troppi privilegi e profonde differenze tra il proletariato e la borghesia, tra la borghesia e la nobiltà, tra tutti loro e il clero.
La nuova Italia era, forse, troppo giovane ma non aveva ancora dimostrato di volere e saper cambiare. Tardava troppo a mettersi al passo con gli altri paesi europei.
Era appena terminato il terribile periodo delle leggi liberticide varate da Crispi, che avevano decimato le opposizioni, e i conservatori e i clerico-reazionari continuavano a reggere impunemente le sorti del governo.
I presupposti per cui si erano battuti e sacrificati i loro antenati erano stati ignorati o traditi.
Per tutte quelle ragioni i socialisti non presero parte a cerimonia, che giudicava uno sfregio alla stessa bandiera. L’evento era stato indetto e organizzato da un apposito comitato cittadino composto da esponenti moderati. Il programma prevedeva il discorso ufficiale di Giosuè Carducci e la scopertura nell’atrio del palazzo municipale di una enorme lapide con un’epigrafe dettata dal professor Naborre Campanile.
Pur essendo presenti a titolo personale, uomini di diverso orientamento democratico, come l’avv Curtini, Giuseppe Ferrari, Naborre Campanini, non convinsero i socialisti, i reduci garibaldini e le società operaie a prendere parte alla cerimonia.
Tale decisione fu assunta ufficialmente nel corso di una affollata assemblea di partito e in seguito pubblicata da La Giustizia settimanale il 10 gennaio 1897. Nell’articolo si legge: “Considerando che gli elementi più reazionari vogliono oggi commemorare la data in cui i repubblicani di Reggio, Modena, Bologna e Ferrara, ribelli al vecchio regime, proclamavano il tricolore a bandiera della rivoluzione, che degni di commemorare i nostri padri ch’ebbero fede nel progresso e lottarono per la Libertà, L’Uguaglianza e la Fratellanza, sono soltanto coloro che ora si sforzano di imitarli combattendo i privilegi e le ingiustizie presenti, e non già quelli che, ben poco diversi e talvolta peggiori dei privilegiati del secolo passato, deridono ogni speranza in una civiltà meno triste e meno bugiarda dell’attuale, contrastano ogni iniziativa tendente ad elevare ed emancipare la classe dei lavoratori del braccio e della penna…(i socialisti) ricordano con gratitudine, i generosi che, innamorati del bene lottarono per la verità e la giustizia e non già i cortigiani, né gli egoisti preoccupati solo del loro gretto interesse personale… e criminosamente sognano di arrestare il corso benefico dell’evoluzione sociale e di tenere in loro pugno i destini dell’umanità”.
Passeranno tre anni e una lista democratica formata da socialisti, repubblicani e democratici, conquisterà il comune ed esprimerà il primo sindaco socialista della città: l’avv. Alberto Borciani.
Evidentemente nel frattempo la linea intransigente e contraria ad ogni alleanza con forze politiche e intellettuali diverse, si era andata evolvendo, creando i presupposti per la conquista di molti altre amministrazioni.
Dovranno però passare altri cento anni perché la ricorrenza del Primo Tricolore diventi una vera festa di popolo.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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