Simonini, il socialista democratico

Alberto_Simonini

Riassumere l’intensa e ricca vita politica di Alberto Simonini non è una impresa facile e semplice. Per comodità e chiarezza espositiva ho scelto di suddividere la sua attività politica in tre fasi, tra loro strettamente collegate, che offrono un quadro d’insieme delle sue scelte politiche principali.

La prima fase potremmo chiamarla dell’antimilitarismo, e comprende il periodo dell’adesione alla FIGS per concludersi nel 1921. È a Brescia dove è stato trasferito il padre, operaio ferroviario, quando, nel 1912, fa il suo ingresso nella Federazione giovanile e fa le sue prime esperienze politiche. Come tutti i giovani del tempo si spende perché l’Italia abbandoni lo spirito guerresco e colonialista che l’ha già portata alla guerra libica e si incammini verso una politica di pacifica convivenza con tutti gli altri paesi. A Brescia collabora, pur essendo autodidatta, al giornale locale Brescia Nuova, guadagnandosi la simpatia dei giovani socialisti, che lo eleggono Segretario della FIGS. Il 23 luglio viene arrestato per attività antimilitarista e trattenuto per tre giorni. Il debutto in pubblico avviene invece in occasione del 1° maggio, quando tiene il comizio ufficiale in due comuni.

Ritornato a Reggio nel 1914 collabora a La Giustizia e con lo stesso Prampolini. Espone e sostiene le sue opinioni con tanta forza che viene subito eletto segretario provinciale della FIGS di Reggio Emilia. Il 17 maggio 1915, alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, per nulla convinto della posizione assunta dal partito (né aderire, Né sabotare) propone la proclamazione dello sciopero generale. La proposta appare estremista e inutile e tardiva, viene bocciata e lui rassegna le dimissioni. Dimessosi da segretario continua la
sua militanza da semplice iscritto, fino a quando viene chiamato alle armi l’anno seguente.
Anche sotto le armi continua la sua propaganda contro la guerra, tanto da essere deferito al Tribunale Speciale per un tentativo di diserzione. Tale procedimento viene comunque sospeso, per essere ripreso nel 1919, che comporterà un arresto di pochi giorni.

Nel dopoguerra si schiera con la corrente massimalista, stringendo amicizia con Camillo Berneri e Antonio Piccinini e futura vittima, nel 1924, della violenza fascista e martire socialista. Dapprima guida il direttorio massimalista, per poi diventare segretario della CdL della zona montana, incarico che svolge con passione e competenza. Nel 1920 viene nominato segretario della CdL riformista di Parma, piazza particolarmente difficile per la presenza dell’Usi (Unione sindacale italiana) e dei sindacalisti rivoluzionari guidati da Alceste De Ambris e Filippo Corridoni. Nello stesso periodo intensifica il rapporto con Prampolini e Zibordi, cercando di smussare i contrasti interni al partito in nome dell’unità di tutti i socialisti.

L’anarchico Camillo Berneri

Nel dicembre 1920 aderisce ufficialmente alla mozione turatiana del Congresso di Livorno, denominata “Concentrazione”. Non si dà per vinto e anche durante il congresso di Livorno si adopera perché il partito resti unito contro il fascismo e autonomo da Mosca. Purtroppo, come è noto, il congresso registra la scissione della frazione comunista e la nascita del PCd’I di Gramsci, Togliatti, Terracini e Bordiga. Contrario a seguire i diktat di Mosca che prevedono l’espulsione dei riformisti dal partito, nell’agosto del 1922 aderisce al PSU di Matteotti, Turati e Prampolini, Buozzi e Treves. Nello stesso mese e anno della sconfitta della resistenza armata al fascismo, detta dell’Oltrecorrente, anche la CdL riformista, il 14 marzo 1923 viene sciolta con decreto Prefettizio.

La seconda fase dell’attività politica di Simonini coincide con L’antifascismo e la ricostruzione del partito.
Simonini viene dunque bandito da Parma e inizia un nuovo lavoro come ispettore viaggiante de La Giustizia, diventata l’organo ufficiale del PSU. È segretario del comitato elettorale per l’Emilia Romagna nella campagna elettorale del 1924 e dopo le elezioni svolge l’incarico di ispettore del partito alle dipendenze dirette di Giacomo Matteotti.

Dal 1924 al ’29 si vive a Torino dove è segretario regionale della Federazione Operai edili e segretario confederale della Provincia di Torino, sorto dalle rovine della distrutta Camera del Lavoro. Avendo l’estrema esigenza di avere una fonte di sostentamento, .si dedica all’attività di rappresentante di commercio di impianti e macchinari per panifici.

Tornato a Reggio constata che il partito non esiste più e i soli punti di riferimento per i compagni sono la libreria Prandi e il negozio di Giacomo Lari. Arrestato due volte nel 1932, decide di trasferirsi a Bologna. Nell’agosto 1943 partecipa con Rinaldi, Lari, i fratelli Prandi e Bellelli al secondo incontro di Barco, volto a ricostruire una organizzazione socialista, mancante dal 1926.

Giovanni Zibordi e Camillo Prampolini, socialistui

Il 28 settembre partecipa alla riunione costitutiva del CNL. In questa occasione Simonini si dice contrario al ricorso della lotta armata perché coerente con gli ideali etici appresi dalla predicazione prampoliniana, anche se, con l’affermarsi del fascismo, delle violenze e della soppressione di tutte le libertà democratiche, lo stesso Prampolini si era reso conto della inevitabilità del ricorso alla forza. Simonini e Bellelli indicano invece come mezzi efficaci per sconfiggere definitivamente il nazifascismo il ricorso alla diserzione, agli scioperi e alla resistenza passiva. La direzione nazionale però condanna tale posizione e Simonini e Lari si dimettono dal CNL, sostituiti da Ferrari e Prandi.

Nel ricostruito Partito socialista all’indomani della Liberazione, rimasto ormai privo di tutta la classe dirigente riformista prefascista, Simonini viene riconosciuto come leader indiscusso. La guerra ha cambiato tutto, ora i problemi sono diversi, come diversi sono le esigenze dell’Italia. I socialisti devo porsi il tema delle alleanze politiche, specie il rapporto con il PCI.

In particolare i temi che si pongono rispetto al rapporto con i comunisti sono due: l’unità d’azione e la fusione. Simonini si dice favorevole a difendere l’autonomia e l’indipendenza del partito, pur essendo favorevole al patto d’unità d’azione. Tanto fa che al secondo congresso provinciale di Reggio Emilia, presente per il nazionale L. Basso, il suo ordine del giorno ottiene il 90% dei consensi. Le elezioni amministrative reggiane un discreto successo ai socialisti che ottengono il 26,64%.

 

La terza fase inizia con la scissione di Palazzo Barberi e può essere de finita quella socialdemocratica.

Nonostante la riconferma del Patto d’unità d’azione, che prevede la formazione di giunte d’intesa periferiche, i comunisti iniziano una campagna d’attacco politico nei confronti dei riformisti. A questa polemica a Reggio si sommano diversi fatti di sangue che destano forti sospetti sulla loro matrice politica. Cito per brevità solo i principali: l’assassinio del sindaco socialista di Casalgrande Umberto Farri nell’estate del ’46 e il ferimento con arma da fuoco del sindaco socialista di Reggiolo Egisto Lui. A questi fatti si aggiungono poi assassini del direttore delle Officine Reggiane Vischi, del colonnello Mirotti, di don Pessina, del comandante delle Fiamme Verdi, Morelli, del fratello dell’on. Ferioli e altri ancora. Fatti di sangue che negli anni si scoprirà riconducibili a squadre armate di comunisti, che trovava copertura in una parte del gruppo dirigente del PCI con a capo Secchia.

La delusione socialista per l’esito delle elezioni amministrative parziali del 18 aprile 1948, polemica interna al partito tra riformisti e sinistra, che intende riprendersi la guida del Partito, spingono Saragat a dichiarare, quasi a fornire una possibile chiave lettura dei fatti: Gli elettori guardano agli uomini e non alle parole che oggi, come tutti sanno, hanno significati polivalenti: e quando vedono alla testa del partito, più imperterriti che mai i fusionisti, finiscono per chiedere che gioco si gioca. Il congresso nazionale si apre dunque quando è già spaccato in due.
Simonini, memore degli insegnamenti dei vecchi riformisti, si adopera molto per evitare la scissione, anche per non perdere, come invece accadrà, la maggioranza a Reggio.
La persona individuata, il solo a suo parere in grado di sventare o perlomeno ritardare la scissione è Sandro Pertini. Pur rinviando al saggio di Mauro Del Bue, pubblicato dalla rivista storica “L’Almanacco” nel 1984, per approfondire il contesto e i motivi politici della scissione, è bene qui riassumere brevemente quell’evento nelle sue linee essenziali.

Il disegno caldeggiato da Simonini e trasmesso a Pertini è il seguente: Far approvare dal Congresso il rinvio a maggio o giugno; affidare il partito ad un comitato di garanzia; svolgere il congresso sulla base del tesseramento del 1947 con termine fine aprile o maggio. In ogni caso il segretario non può essere Basso, ma Pertini o Morandi. Pertini in seguito confermò tutto, aggiungendo che ne parlò con Nenni, il quale si comportò in modo formalmente corretto, sottoponendo la proposta ai delegati in maggioranza della sinistra che bocciò la proposta. E scissione fu. Dalle pagine della Giustizia, ormai organo del PSLI, il 17 gennaio scrive: Il partito si è diviso in due ma i socialisti, se si esclude una piccola minoranza di mestatori e di faziosi, si sentono ancora spiritualmente uniti.

In realtà il PSI si avvia al frontismo elettorale, ponendo ai socialdemocratici il problema di una precisa scelta di campo. Così il PSLI, abbandonata ogni ipotesi di partecipazione al governo, aderisce all’appello di De Gasperi e nel dicembre del ’47 entra con i repubblicani nel governo. A questo punto inizia un periodo di ostilità tra i comunisti e i socialisti da un lato e i socialdemocratici dall’altro, che fa svanire rapidamente la prospettiva della riunificazione. Alle elezioni politiche del 18 aprile 1948 i socialdemocratici presentano liste di Unità socialista che ottiene un risultato soddisfacente, soprattutto se paragonato al ridimensionamento del partito di Nenni, nell’ambito delle liste del Fronte.
Dopo il congresso nazionale di Napoli, Simonini diventa segretario nazionale del partito fino alla primavera del 1949, quando viene messo in minoranza in direzione sulla adesione dell’Italia al Patto Atlantico. Nel 1951 il PSU di Romita e il PSLI si uniscono e danno vita al PSDI.

Il pensiero di Simonini si articola su tre punti fondamentali: Adesione alla NATO, collocazione tra i partiti democratici e piena indipendenza dei sindacati da ogni ingerenza di qualsiasi origine. Solo dopo la storica svolta del 1956 a opera di Krusciov al XX congresso del PCUS e in seguito alla posizione assunte da Nenni si pone con forza il tema della riunificazione.

L’incontro di Pralognan del 1956 tra Nenni e Saragat sembra offrire un forte acceleratore al processo di riunificazione. Ma il risultato congressuale del PSI di Venezia, che, dopo aver approvato le tesi di Nenni, elegge un Comitato Centrale a maggioranza contrario, sembra mettere una pietra tombale sull’unificazione. I fatti, dunque, sembrano dare ragione a Simonini che si è dimostrato uno dei dirigenti più tiepidi nell’accettare l’ipotesi di unificazione socialista.

A Proposito dell’incontro di Pralognan, Simonini scrive questa lettera al segretario del partito Matteo Matteotti: Un grosso problema come quello dell’unificazione socialista in Italia, dopo oltre dieci anni di polemiche e di prassi politica tanto radicalmente ed apertamente contrastanti, non può certo risolversi per la sola iniziativa di vertici, anche se tanto autorevolmente rappresentati come nel caso in esame, e credo che non reso un buon servizio alla causa la fretta con cui i due hanno creduto di sintetizzare i risultati del loro incontro.
Simonini non ha il tempo di vedere gli sviluppi della situazione scaturiti da Pralognan, che porteranno sì all’unificazione nel ’68, ma che si dissolverà in poco tempo.

Pietro Nenni e Giuseppe Saragat

Nel luglio 1960 muore infatti improvvisamente a Strasburgo all’età di 64 anni. I suoi funerali si svolgono lo stesso giorno di quelli per i morti del luglio del ’60.
Oltre che deputato dal 1948 al 1963 e segretario nazionale di partito, Simonini ha ricoperto diversi di governo: Ministro della marina mercantile e ministro delle poste e telecomunicazioni, oltre che Presidente della 7° Commissione Lavori pubblici della Camera dei deputati. È sepolto al cimitero monumentale di Reggio Emilia, a pochi passi dalle stele in memoria di Camillo Prampolini.