Rivoluzionari e riformisti a Gualtieri

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Il comune di Gualtieri (Reggio Emilia), amministrato, fin dal 1899, da una coalizione composta da socialisti e radicali, attuò, nei primi anni del ‘900, molte riforme strutturali, sia nel campo educativo, che in quello sanitario e della viabilità. A seguito dei tanti lavori pubblici realizzati, la disoccupazione diminuì significativamente a vantaggio delle cooperative, che godettero di notevole sviluppo. Fu in sostanza un’amministrazione efficiente e in grado di farsi carico delle necessità della popolazione.

I risultati elettorali del comune e quelli dell’intero collegio di Guastalla si mantennero buoni, anche se a partire dal 1908, sorsero contrasti all’interno del partito socialista fra sindacalisti e riformisti, che ne indebolirono la forza.

Guastalla si confermava la “capitale” della Bassa, potendo contare su 4 cooperative di consumo, 2 di lavoro, 5 spacci, l’Ufficio Succursale della C.d.L. di Reggio, 20 Leghe e la Federazione dei truciolai. La lavorazione del truciolo, largamente diffuso in tutta la Bassa reggiana, rappresentava un lavoro prevalentemente femminile e complementare a quello agricolo affidato agli uomini. Costituiva in sostanza una parte importante, seppur aggiuntiva, del reddito delle famiglie contadine alle prese con remunerazioni da fame, specie in presenza della progressiva riduzione negli stessi comuni delle terre destinate a risaie.

Il principale artefice di tanto sviluppo fu Nico Gasparini, un organizzatore instancabile e leader molto ascoltato dai contadini. Fu così che Antonio Vergnanini, segretario della Camera del Lavoro provinciale e Nico Gasparini, sottosegretario in quella di Guastalla, riuscirono nel loro intento di trasformare la Federazione dei lavoratori del truciolo in una specie di estesa cooperativa di lavoro, pur comprendo al suo interno anche le Leghe.
La successiva crisi di sovrapproduzione e la reazione organizzata dei proprietari, che si affidarono sempre di più alle macchine, ostacolò il progetto caro a Vergnanini di realizzare la “Cooperativa Provinciale Unica”. Il Consorzio o Cooperativa Provinciale Unica gli sembrava essere l’unico modo per sottrarre la cooperazione “da qualsiasi tributo verso la speculazione e i monopoli” e garantire il lavoro con la solidarietà di tutti.

Purtroppo l’occupazione diminuì rapidamente, anche a causa della meccanizzazione della lavorazione, e tutto il settore del truciolo venne messo in pericolo. La mancanza di quel reddito aggiuntivo provocò grande incertezza in moltissime famiglie e un profondo malcontento anche nei confronti del sindacato.

Ciò diede forza a coloro che non avevano abbandonato l’idea di rafforzare, a scapito delle cooperative, la diffusione delle Leghe, che consideravano più combattive nella rivendicazione del lavoro e dei diritti degli associati.

Prendendo spunto dallo sciopero della vicina Parma, alcuni attivisti si convinsero che il sindacalismo rivoluzionario, grazie alla sua capacità di acuire lo scontro di classe, fosse la strada migliore da seguire per sconfiggere il regime borghese.

Alcuni gruppi minoritari in disaccordo con la posizione centralista della CGIL, in un congresso che si svolse a Parma nel 1907, decisero di costituirsi in “Comitato di Azione Diretta”, per cercare di salvare e correggere l’autonomia del sindacato. Il 1908 fu un anno di violenti scontri che sfociarono nello sciopero generale indetto dai sindacalisti rivoluzionari capeggiati da Alceste De Ambris. A Guastalla il 7-06-1908, nel cortile delle scuole elementari, si tenne un comizio dell’anarchico Domenico Zavattero, al termine del quale furono raccolte oltre 50 lire da inviare agli scioperanti di Parma.

Nel 1910 al II Congresso sindacale, il CAD si trasformò in “Comitato di Resistenza”, ponendo le basi per la costruzione di un organismo sindacale di carattere nazionale, con l’obiettivo di coordinare le forze sindacali rivoluzionarie aderenti alla CGIL.
Nel congresso di Modena del 1912, infine, nacque l’USI con sede a Parma e L’Internazionale, come suo organo ufficiale.

Nel reggiano i più convinti seguaci dei sindacalisti furono gli addetti alla lavorazione del truciolo, i più diffidenti verso il mondo della cooperazione. Quando nel 1909 Gasparini, nel tentativo di salvare l’attività del settore, stipulò un accordo con gli industriali di Carpi, che stabilì un premio del 2% del valore totale dei contratti e la concessione di un magazzino per la raccolta dei prodotti da vendere agli industriali, si sollevò la protesta e l’accordo venne contrastato e bocciato dai sindacalisti, che accusarono la Federazione d’aver abbandonato la lotta di classe.

La prospettiva di realizzare la “Cooperativa integrale”, grazie alla quale l’intero movimento operaio si sarebbe trasformato in una grande impresa commerciale e industriale venne dunque rifiutata dai sindacalisti rivoluzionari.

Gli oppositori scelsero come proprio rappresentante il sindacalista Anselmo Parmeggiani, il quale criticò l’idea del Consorzio in quanto “organismo burocratico e non proletario”. Altri leader sindacalisti della Bassa furono Attilio Rossi (ex sindaco di Guastalla), Nardino Cardarelli di Gualtieri, Alfredo Bertesi, un bracciante autodidatta che diventò poi industriale del truciolo e deputato per Carpi e Gaetano Negri sindacalista di Villarotta.

La reazione di Vergnanini fu pronta ed estrema. La cooperativa dei truciolai di Gualtieri fu espulsa dalla C.d.L. Tale frattura interna al partito ebbe pesanti ripercussioni alle elezioni amministrative del 31 luglio 1910, comportando la perdita dell’amministrazione di Gualtieri.

Stando a quanto riferito da Adelmo Sichel, la consistenza del gruppo sindacalista raggiunse il numero di 50 aderenti. Il contagio sindacalista si diffuse poi anche ad altri comuni della Bassa, come Reggiolo, Brescello, Fabbrico e Boretto. Le accuse mosse ai riformisti erano sempre le stesse: burocratismo, eccesso d’organizzazione economica e gregarismo.

Nel 1912, Nico Gasparini, in vista del III Congresso Nazionale dei Lavoranti del Truciolo, ammise che la Federazione “ha potuto fare poco perché impegnata a riorganizzare le sezioni esistenti ed eliminare la diffidenza della massa lavoratrice”.

Le ragioni alla base di tanto dissidio e malcontento non stavano, secondo Gasparini, nel metodo e nello strumento adottato, quello cioè della trasformazione della Federazione dei truciolai in cooperativa di consumo, quanto nella mancata organizzazione delle trecciaie accanto ai lavoratori della paglia che usavano attrezzature meccanizzate e nella impreparazione tecnica, commerciale, amministrativa di molti dirigenti.

Le difficoltà nel risollevare l’attività dei truciolai, a giudizio di Gasparini, “non si dovevano dunque addebitare al metodo utilizzato per la costruzione di un Consorzio o Cooperazione integrale, in grado di rendersi sempre più forti e autonomi rispetto agli agrari, in quanto quello non aveva fallito”.

La dimostrazione che l’idea di Vergnanini e Gasparini fosse lungimirante fu offerta dalla cooperativa integrale di San Vittoria, nata nel 1911, che riuscì a espandere il numero di soci.

Essa, infatti, riuscì ad acquistare la grande tenuta del conte Greppi con finanziamenti provenienti in parte dall’Istituto di credito per le cooperative e in parte da banche private.

La mole di lavoro e gli enormi sacrifici dei soci permisero alla cooperativa di sopravvivere durante le diverse crisi economiche, fino a diventare, fino a fascismo inoltrato, un modello di cooperazione per tutta Italia.