Aumentano i profitti, mentre i salari non crescono: è questa la conclusione a cui è arrivata la Fiom-Cgil di Reggio dopo aver analizzato – insieme all’Ufficio bilanci della Camera del Lavoro – i bilanci di oltre tremila aziende metalmeccaniche della provincia reggiana (con almeno un addetto sul territorio provinciale) riferiti agli ultimi quattro anni di esercizio, mettendo in relazione l’andamento della condizione economica delle imprese alle condizioni di lavoro.
Dopo la firma del contratto nazionale del 2016 i sindacati delle tute blu si aspettavano una maggiore disponibilità alla contrattazione aziendale da parte delle imprese; ma oggi, conti alla mano, la ricerca dimostra che non è aumentata né la massa salariale contrattata nelle aziende né è aumentato significativamente il numero di contratti di secondo livello stipulati, mentre la gran parte delle imprese metalmeccaniche del territorio ha accumulato utili “come non si vedeva da circa 10 anni. I fatti hanno la testa dura e i bilanci dicono inequivocabilmente che negli ultimi tre anni gli utili sono cresciuti a una velocità tre volte superiore rispetto a quella dei salari”.
Con il contratto nazionale del 2016, ha spiegato il segretario generale della Fiom-Cgil reggiana Simone Vecchi, “abbiamo raccolto la sfida della Federmeccanica per cui la ricchezza avrebbe dovuto essere distribuita solo dove viene prodotta, cioè con la contrattazione aziendale. Ma i numeri dicono che la promessa non è stata mantenuta”.
Dalla ricerca commissionata dalla Fiom-Cgil reggiana è emerso un netto divario tra utili e salari, a vantaggio dei primi: dal 2015 nelle aziende metalmeccaniche reggiane il costo del lavoro totale è infatti aumentato del 24%, mentre gli utili sono cresciuti del 72%. Lo stesso dato è emerso anche analizzando i bilanci delle imprese in cui sono stati firmati contratti aziendali, così come nel campione delle 695 aziende con almeno un addetto.
Un dato su tutti, secondo Matteo Gaddi (che ha curato l’analisi per la Fiom), “dimostra che non c’è stata la redistribuzione promessa: la quota di valore prodotto che va al lavoro è diminuita di 3,55 punti percentuali, mentre la quota che va agli utili è aumentata di 6 punti; è evidente uno spostamento secco di ricchezza dal lavoro al capitale”.
Per questo motivo, ha aggiunto Vecchi, “occorre rafforzare il contratto nazionale e riconoscere aumenti superiori all’inflazione, perché l’attuale modello aumenta le disuguaglianze e va cambiato”.
Il segretario organizzativo della Fiom reggiana Marco De Simone ha chiesto quindi un aumento salariale dell’8% nel rinnovo del contratto nazionale: “Le imprese hanno la possibilità di evitare il progressivo impoverimento dei loro dipendenti, consapevoli tutti che la questione salariale in Italia è la principale causa della stagnazione che attanaglia il Paese da anni”.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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