È un appello accorato quello che la Federazione diocesana per i servizi agli anziani (Fedisa) ha lanciato alle istituzioni affinché siano definiti nuovi modelli di prevenzione della pandemia per le residenze assistite per anziani, che tengano conto non solo degli aspetti sanitari della questione ma anche delle situazioni di grave disagio e sofferenza che stanno vivendo le persone ospiti (quasi del tutto private di relazioni fisiche e affettive con i propri familiari), le loro famiglie e gli operatori e le operatrici che lavorano in queste strutture.
“Nonostante la dedizione professionale, la vicinanza affettiva e lo sforzo organizzativo profuso da amministratori e operatori per mantenere i contatti tra ospiti e familiari (visite protette, stanze degli abbracci, contatti online, etc.)”, ha sottolineato Fedisa in un documento sottoscritto in pochi giorni da oltre 400 persone (di cui quasi l’80% rappresentato da familiari), “il perdurare della situazione di sostanziale isolamento presente nelle strutture sta fortemente minando la qualità della vita degli ospiti e privando di momenti preziosi le famiglie, frequentemente impossibilitate a mantenere un filo affettivo con i loro cari che non sia filtrato da strumenti inidonei a questa relazione e non sempre accessibili agli ospiti anche per banali difficoltà d’uso”.
È del tutto evidente, secondo la Federazione diocesana per i servizi agli anziani, alla quale fanno capo 17 strutture socio-assistenziali e socio-sanitarie residenziali e semiresidenziali che offrono i propri servizi a 800 persone anziane e con disabilità, e che contano complessivamente oltre 500 operatori e operatrici, “che i benefici generati dalla vicinanza fisica dei propri cari e dalla possibilità di stare insieme non possono essere sostituiti da incontri dietro la finestra, nella stanza degli abbracci e dalle video chiamate, seppure accompagnati da personale competente e amorevole”.
La situazione si era temporaneamente alleggerita nel corso dell’estate, ha ricordato il presidente di Fedisa Giorgio Faietti, “con esiti importanti e concreti per gli ospiti, la cui graduale ripresa di motivazione alla vita si è misurata in maggiore appetenza, sonno notturno continuo, partecipazione alle attività quotidiane, collaborazione con il personale, condivisioni di gioia e trepidazione per l’attesa del momento di incontro con i familiari”.
La ripresa dei contagi durante l’autunno e nei primi mesi invernali, tuttavia, ha determinato un nuovo inasprimento delle misure di sicurezza anti-Covid, “nonostante sia evidente che le residenze per anziani (con vaccinazioni oltre il 95% sia per le persone ospiti che per gli operatori) sono state toccate marginalmente dalla nuova ondata pandemica, con pochi casi di contagio ancora presenti, che perlopiù non comportano gravi conseguenze sugli anziani, responsabilmente gestibili dagli operatori”.
Le buone prospettive dei mesi precedenti, dunque, si sono di nuovo allontanate: e così molte persone anziane ospiti, come ha riportato Faietti usando le loro stesse parole, “si sentono inutili e prive di ragion d’essere, limitate nell’uso del corpo, impedite nelle relazioni più significative, sconfortate e demotivate nello spirito”.
Una situazione di sofferenza particolarmente grave, dunque, che secondo Faietti “induce nuove fragilità fisiche e psicologiche. Gli stessi familiari, seppur guidati a questo nuovo sistema di regole apri-chiudi-apri-sì-no-solo poco tempo-tieni la mascherina-non toccare-non dare, manifestano malcontento e impotenza e chiedono alle strutture spiegazioni del perché di comportamenti e misure che stanno in protocolli che vanno oltre la stessa competenza dei gestori, che pure ne sentono a pieno tutti gli effetti”.
“Gli stessi operatori, costantemente seguiti e formati a una dimensione di cura integrale della persona, professionalmente corrispondenti ai migliori profili richiesti e animati da profondi sentimenti di solidarietà e prossimità, sono messi a dura prova dalla situazione pandemica, che ha determinato un rilevante aggravio di stress, fatica e senso di impotenza di fronte a richieste umane, emotive e affettive che evidenziano il disagio e la sofferenza delle persone ospitate”.
Da qui, dunque, l’appello di Fedisa alle autorità istituzionali per l’individuazione di nuovi modelli di prevenzione della pandemia; una richiesta associata alla “piena disponibilità nel costruire insieme i percorsi necessari e utili a garantire ripristino e continuità a percorsi di cura che non si limitino alle pur rilevanti questioni sanitarie, che da sole non garantiscono quella pienezza di vita che sta in capo a ogni persona”.
Ultimi commenti
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]