Reggio, il capo della Dia: hacker etici per intercettare i pizzini del nuovo millennio

L’intervento di Maurizio Vallone

Le mafie nel mondo digitale, dall’utilizzo di cripto valute, wallet e Nft per regolare i propri affari, del metaverso per  gestire i traffici, ma anche dei social media perché sulla comunicazione – che significa dimostrazione di potere e capacità di reclutamento – le mafie hanno sempre puntato molto. Con questi temi, e con relatori d’eccezione, si è aperto Noicontrolemafie, il Festival della legalità promosso da ben 12 anni dalla Provincia di Reggio Emilia insieme a 29 Comuni e la Regione, con la direzione scientifica di Antonio Nicaso, la consulenza di Caracò e di Rosa Frammartino e la collaborazione degli ordini professionali.

Dopo i saluti della vicepresidente della Provincia di Reggio Emilia, Elena Carletti, è stato lo stesso direttore scientifico Antonio Nicaso ad aprire una mattinata che ha coinvolto il direttore della Direzione investigativa Antimafia, Maurizio Vallone, e il docente di Storia contemporanea all’Università di Salerno Marcello Ravveduto, e che si è poi conclusa con la restituzione pubblica da parte di Alessandro Gallo dei progetti educational realizzati in questi mesi con le scuole.

“Lucky Luciano diceva che non esiste denaro sporco o pulito, ma solo denaro, e le mafie, che vivono e prosperano grazie a straordinarie capacità di relazioni e di adattamento, si sono adeguiate anche in questo ed oggi il capitale mafioso entra con facilità impressionante nella economia legale proprio attraverso i nuovi strumenti e le nuove tecnologie – ha detto Nicaso – Occorre dunque avere leggi adeguate per combattere un fenomeno sempre più globale, occorre capire come le mafie stanno utilizzando lo spazio digitale e i social media per riciclare denaro e regolare i propri loschi affari”.

Già, anche i social media “perché – ha aggiunto Nicaso – uno dei precetti meno rispettati dalle mafie è proprio il silenzio, checché se ne pensi: sono società segrete di cui tutti devono conoscere l’esistenza, altro che omertà, in realtà hanno sempre comunicato e allora noi dobbiamo imparare a intercettare i pizzini del nuovo millennio”.

 

E proprio sui social media, attirando subito l’attenzione degli studenti, si è soffermato il docente di Storia contemporanea all’Università di Salerno Marcello Ravveduto: “Anche nelle organizzazione c’è una generazione Z che si comporta esattamente come voi solo che vive in condizioni diverse da voi: è quella che avete imparato a conoscere in “Mare fuori”, che usa Tik Tik e i vostri stessi emoji, anche se con altri significati – ha detto Ravveduto – Utilizzano spesso la siringa con goccia di sangue per indicare fratellanza , la clessidra perché il tempo per loro è importante perché ne hanno poco visto che o muoiono o vanno in galera,  fiamma e fuoco per indicare forza e solidarietà, e se ci mettono pure il leone vuol dire che sono pronti a fare la guerra”.

“Poi ci sono i video su Tik Tok, sempre accompagnati da musica trap, per raccontare quello che fanno, dallo spaccio di droga a come maltrattano le donne, e hanno i loro influencer, che non devono promuovere marche, ma far vedere che hanno pacchi di soldi perché sono figli di un boss: sono veri e propri operatori di marketing mafioso, che vestono Fendi o Balenciaga, girano in Ferrari o Audi R8, indossano Rolex e bevono Veuve Clicquot…”.

In videocollegamento da Roma, infine, l’atteso intervento del direttore della Direzione investigativa Antimafia, Maurizio Vallone, che ha innanzitutto parlato delle “difficoltà investigative e giudiziarie che il mondo digitale e l’intelligenza artificiale ci creano”. “Ci sono anche problemi giuridici che la tecnologia impone – ha detto – In Italia abbiamo una legislazione molto efficace costruita in 40 anni che stiamo cercando di esportare in Europa, ottenendo anche importanti risultati. Ma nel continente esistono tante sensibilità e formazioni, l’esigenza di tutelare la privacy è ad esempio molto sentita in Nord Europa, ma anche in Italia, e questo ci crea una serie importante di limitazioni e di difficoltà, dal riconoscimento facciale alla gestione delle banche dati”.

Altro tema delicato, la difficoltà di acquisire professionalità digitali. “Oggi ci confrontiamo con un mondo altamente specializzato e tecnologico – ha continuato il direttore della Dia – Anche noi abbiamo investigatori che lavorano sui social per verificare la capacità economica di determinati soggetti che, non avendo una attività lecita, mostrano una capacità reddituale che non può che essere di provenienza illecita. Però, anche qui, l’analisi del web non basta, ci serve anche un supporto normativo che ci consenta di aprire profili protetti e utilizzare le informazioni ottenute”.

Ma il lavoro sui social è ancora semplice. “Quelle che ci mancano sono specializzazioni di altissimo livello per bucare le piattaforme criptate, da dove si scarica un’app che ti permette di far dialogare più soggetti in maniera appunto criptata – ha detto Vallone – Nel 2022 ben il 4% di tutte le segnalazioni sospette fatte da Bankitalia è stata effettuata in criptovalute, quindi è necessario dotarci di strumenti di monitoraggio e analisi delle criptovalute per poterle seguire in tutto il mondo visto che vengono trasportate da una parte all’altra semplicemente cedendo i codici di accesso a un wallet”. E se questo vi sembra complicato, ancora di più è indagare sugli Nft, i non fungible token che pure permettono di spostare capitali immensi con aste fittizie.

“Dunque nuove sfide continue a livello investigativo, ma anche legislativo, perché oggi nessuna indagine è puramente tradizionale o puramente digitale e per essere altamente specializzati su tutti i piani, ci servono competenze che possono venire solo da chi è più bravo di noi, a partire dalle Università”, ha concluso il capo della Direzione investigativa Antimafia: “Per questo stiamo firmando protocolli con tanti Atenei per formare ricercatori che domani potranno diventare base di reclutamento di forze dell’ordine di tipo qualificato, hacker etici a disposizione delle forze dell’ordine per i quali, ovviamente, servirà una apposita normativa scriminante”.