Scrive la presidente della Consulta provinciale degli studenti di Reggio Emilia, Isabel Varchetta. “Stiamo assistendo in questi giorni a una serie di decisioni non omogenee sulla riapertura delle scuole. Questo tira e molla sta dividendo gli studenti in due parti: chi vuole tornare e chi giudica più prudente per ora rimanere in DAD. C’è un malcontento generalizzato, quindi è segnale che qualcosa non è stato fatto come si doveva ed è necessario fare chiarezza. «Possiamo quindi definire in maniera inequivocabile che entrambi gli atteggiamenti trovano una profonda linea comune: il desiderio di tutti di tornare ma in totale sicurezza».
La Didattica a Distanza eredita ed amplifica le già presenti problematiche della scuola italiana, mancanza di risorse economiche e tagli in primis, e traccia un solco profondo, discriminatorio e classista tra chi può e chi no.
Uno studio dell’ISTAT rivela che “il 45,4% degli studenti tra i 6 e i 17 anni (pari a 3 milioni e centomila) ha difficoltà nella didattica a distanza per carenza di strumenti informatici in famiglia, che risultano assenti o da condividere con altri fratelli o comunque in numero inferiore al necessario”. Il rapporto Uecoop di ottobre afferma che una famiglia su quattro non ha i mezzi per potere affrontare le videolezioni. «Si alzano pertanto nuove barriere al diritto allo studio: se gli studenti non hanno uguali possibilità di apprendimento, non c’è omogeneità di conoscenza.»
Non soltanto la gestione della DAD genera forti difficoltà agli studenti, ma i casi di sanzioni disciplinari ingiustificate sono aumentate in modo indiscriminato. Inoltre in molte scuole le assemblee d’Istituto vengono negate dai presidi in nome delle ore perse di lezione o di una presunta impossibilità organizzativa di riunioni online. In certe scuole perfino non si è proceduto alla convocazione delle elezioni dei rappresentanti d’Istituto e di Consulta. La DAD non solo aumenta il nozionismo ma anche il ruolo dello studio individuale. Normalmente non basta stare attenti in classe ma bisogna poi tornare a casa e riprendere gli argomenti volta per volta e non studiare tutto prima della verifica. Ora però il processo si è invertito: sempre più spesso gli studenti sono obbligati a studiare autonomamente intere parti di programma e poi al massimo i dubbi verranno chiariti a lezione. Questa dinamica, cancellando l’introduzione all’argomento fatta dal docente, aumenta il peso delle possibilità dei singoli. Non tutti gli studenti hanno quindi gli stessi strumenti, o per lo meno degli strumenti minimi omogenei, per affrontare un determinato argomento. Lo studio individuale quindi potrà essere più difficoltoso, soprattutto per chi non disporrà di genitori o lezioni di ripetizione pronti ad aiutare nell’approccio all’argomento nuovo. Di contro, però, un rientro a scuola in presenza non può essere in sicurezza se non facendo fare orari proibitivi e grandi sacrifici da parte di studenti, insegnanti e personale ATA.
«Il problema principale è il trasporto pubblico. Sono stati aggiunti autobus (55 nella nostra Provincia), ma non in numero sufficiente a risolvere l’annoso problema del sovraffollamento. Infatti, i piani studiati per il rientro al 75% indicano uno scaglionamento degli orari necessario ad evitare il sovraffollamento sugli autobus, ma che comportano in certi casi orari che si protraggono fino a tardo pomeriggio.»
Quando le scuole eventualmente torneranno a pieno regime, poco sarà cambiato. Tutti questi sforzi organizzativi sono stati fatti nei limiti del possibile in base ai finanziamenti a disposizione, ma non sono sufficienti, proprio a causa dell’esiguità di questi finanziamenti. Inoltre, il rientro al 50 o 75% comporta il fatto che nelle ore in classe si dovrà per la quasi totalità sostenere compiti ed interrogazioni, mentre invece si andrà avanti con la didattica solo da casa, tornando a quanto sopra espresso sul concetto nozionistico di DAD. Dopo tutti gli anni di tagli indiscriminati e alla scelta del Governo di destinare per l’ennesima volta solo le briciole alla scuola pubblica, «si mettono i ragazzi nella condizione di dovere scegliere se andare a scuola in presenza con i piani di rientro delle Istituzioni, favorendo una didattica “classica” e omogenea ma rischiando di rimanere infettati sui mezzi pubblici, oppure rimanere al sicuro a casa scegliendo un tipo di didattica fortemente discriminatoria e classista che impedisce omogeneità di apprendimento».
A chi crede che i giovani siano comunque degli irresponsabili rispondiamo che un conto è chi in maniera superficiale ed ignorante decide di rischiare, un altro è chi è costretto a subire il rischio.
In conclusione, «gli studenti chiedono sicurezza perché è l’unico modo per garantire una corretta conclusione dell’anno scolastico e sono stanchi di essere terreno di propaganda politica, di tagli penalizzanti e pretese di adattamento a qualsiasi situazione senza essere consultati e poter avere neanche diritto di replica.»







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Complimenti a Rosamaria Papaleo per il condiviso intervento!