di Marco Eboli (*)
Ogni anno, sin da quando ero ragazzo, all’approssimarsi delle celebrazioni del 7 luglio 1960, vengo preso da un moto interiore di ribellione nei confronti della narrazione che la sinistra, in particolare il Pci, ora Pd, fanno di quella tragica giornata.
E ogni anno dal 1985, quando fui eletto per la prima volta consigliere comunale, sino a oggi, scrivo ai giornali la verità di un figlio di poliziotto che, in seguito a quei fatti si vide rovinare la vita, e di conseguenza anche a tutta la mia famiglia.
Racconto ciò che mio padre, Paolo Eboli, ex partigiano piacentino, ha sempre raccontato in famiglia e che, mia madre e i miei fratelli maggiori, Roberto e Aldo, vissero sul momento. Mio padre, assunto in polizia grazie a un provvedimento del governo De Gasperi che arruolò molti ex partigiani, quel 7 luglio era di servizio in piazza, per garantire l’ordine pubblico, fortemente a rischio per una manifestazione, non autorizzata, organizzata dal Pci e dalla Cgil, per protestare contro il governo monocolore democristiano Tambroni, che era nato grazie all’astensione del Msi, il quale però non aveva chiesto alcun incarico di governo, ma volle solo fermare la possibilità di un governo di centrosinistra.
Quel 7 luglio, raccontava mio padre, la città era blindata. Gli operai delle fabbriche, organizzati dalla Cgil e dal Pci erano in piazza con camion pieni di pietre e con bastoni. Le vie intorno a Piazza Cavour, poi denominata piazza Martiri del 7 luglio, erano state bloccate da camion o auto, per impedire la fuga alla polizia, che, per ore, fu oggetto di lancio di sassi e scontri corpo a corpo con i manifestanti. Marina Menozzi, una cittadina, stimolata, due anni fa, da uno dei miei articoli, allora bambina, scrisse a sua volta, lei che abitava in Isolato San Rocco, la verità che videro suo padre e suo fratello, che coincide con quella di mio padre.
Scesi per vedere come procedeva la manifestazione, dovettero rientrare in casa, bianchi in volto, quando dai manifestanti partirono colpi di arma da fuoco. È quindi smentita la narrazione del Pci-Pd, che fu la polizia a sparare per prima, tesi confermata anche da libri di eminenti sacerdoti reggiani. Dopo quegli spari la situazione degenerò e la polizia, nel rispondere al fuoco lasciò sul selciato cinque corpi di manifestanti, mentre all’ospedale Santa Maria Nuova i medici e infermieri si rifiutarono di curare i poliziotti, che dovettero essere trasferiti in nosocomi delle provincie vicine. Mia madre Maria, che mi portava in grembo, prima che scoppiasse l’inferno, preoccupata per mio padre, era venuta in città. Una città spettrale, finché una donna, dalla finestra, gli gridò di andare a casa, che da lì a poco sarebbe successo qualcosa di grave, come avvenne. D’altronde a quel 7 luglio il Pci era arrivato preparato e sapendo bene l’obiettivo da raggiungere.
Qualche settimana dopo il 7 luglio, mio padre Paolo, faceva servizio in via Emilia quando giunto di fronte all’attuale sede del Credem, da un portone, del marciapiede opposto, un ragazzo lo invitò a entrare per aiutare un collega che era stato aggredito. La cosa era vera, ma appena entrato fu travolto da bastonate dappertutto, molte, troppe, in testa. Dopo qualche mese da quella aggressione, mio padre iniziò ad accusare problemi alla vista che, nel giro di un anno, lo portarono, a causa della caduta della retina, alla cecità completa. Aveva poco più di quarant’anni. Io che nacqui nel gennaio del 1961,non ho potuto vedere mio padre non invalido, e lui non ha mai potuto vedere il mio viso. Volle però darmi il suo nome da partigiano che io, che ho fatto scelte politiche diverse, porto con orgoglio.
Mio padre Paolo è morto nel 2015, ma la sua storia la raccontò ai giornali dell’epoca, ed è per perpetrare la sua memoria e quella dei tanti poliziotti che subirono ferite, che ogni anno, finché Dio mi darà vita, in occasione del 7 luglio io scrivo la verità, scomoda e diversa dalla narrazione del Pci-Pd.
Mio padre non ha mai serbato rancore per i suoi aggressori e ha sofferto con dignità l’invalidità. Ricordo che nel 2015, sul letto di ospedale, prima di morire, davanti a me e mio fratello Aldo disse: “Prima di morire vorrei una grazia da nostro Signore, che mi desse la vista per cinque minuti”.
(*) La testimonianza di Marco Eboli (oggi portavoce comunale di Fratelli d’Italia e figura della destra reggiana di lunga data) sta nella ricerca di Ivaldo Casali (anch’egli esponente di FdI) dal titolo “I fatti del 7 luglio 1960 – Le testimonianze ignorate”. Nelle pagine dello scritto si trovano anche racconti diretti di chi ha vissuto in prima persona in piazza quei drammatici momenti, raccolte di articoli dell’epoca e testimonianze di politici che hanno guardato e rivisitato quei fatti in seguito ai quali a Reggio Emilia, sotto i colpi sparati dalla polizia, morirono 5 persone.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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