Tutto cominciò all’inizio degli anni Novanta con l’apertura dei centri commerciali in periferia. Sembravano, erano colossi di cemento correttamente definiti ipermercati, perché vi si vendeva di tutto, e non era più necessario cercare i negozi uno ad uno: era tutto lì.
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Poi arrivarono i cosiddetti Petali dello stadio Giglio, classica speculazione edilizia e commerciale volta a portare pubblico non solo ogni due domeniche per la partita ma tutti i giorni per lo shopping. I Petali sono tuttora un non luogo entro i quali sembra di vivere vent’anni fa: sale cinema (ora svuotate), tanto fast fashion, famigliole con bambini in cerca di junk food.
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Questo per chiederci: dinanzi a queste aggressioni urbanistiche, il centro storico avrebbe potuto salvarsi? Perché oggi, occorre essere onesti, il centro storico di Reggio non esiste più. Imbarazzanti i confronti con le vicine Modena e Parma, dove i negozi del centro se la passano assai bene – e con essi la socialità, la vita, il mondo che si muove. Avrebbe potuto salvarsi, la Reggio Emilia che negli anni Ottanta e Novanta se la giocava alla grande con le più blasonate vicine emiliane?
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La risposta è nelle cose e non necessita neppure di analisi, sebbene il Comune abbia commissionato al Politecnico di Milano per farsi dire quel che il reggiano non ha bisogno di farsi ripetere. Noi, da cronisti di una certa esperienza, pensiamo oggi di no: il centro è morto perché non ha potuto resistere agli attacchi della proprietà privata che mantiene sfitte migliaia di metri quadrati ad uso commerciale richiedendo cifre folli senza pagare dazio; perché gli amministratori succedutisi nel tempo hanno rivolto altrove la propria massima attenzione (area Nord); e infine perché, anche a livello strettamente territoriale, intere aree del centro sono state abbandonate dai reggiani e occupate da un confuso melting pot di origini, lingue, culture.
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Qui vi proponiamo gli esiti di una breve escursione nel cuore del centro storico reggiano. I negozi sfitti o in via di chiusura definitiva sono un’enormità.
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Terminata l’esperienza Vecchi, e con essa si spera il degrado accelerato degli ultimi cinque anni, bisognerà azzerare la situazione e riprendere seriamente in mano la faccenda. Assessori al turismo, alla cultura, all’arredo urbano: sembrano non vedere o fingono di non capire che un negozio a Modena apre ogni domenica e a Reggio solo nei giorni feriali. Perché Modena è di nuovo una città viva, o per qualcuno rediviva, e Parma rimane Parma, con le sue tradizioni e le sue mai sopite ambizioni.
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L’assessorato alla cultura si è recentemente vantato in rete della pubblicità – ovviamente a pagamento – su una serie di media dedicati al turismo dove si magnificano le bellezze reggiane. I pubbliredazionali, dovrebbe pure qualcuno averlo imparato in Comune, non servono e anzi spesso danneggiano la reputazione di un luogo o di un soggetto. Come il logo cittadino appena scelto, la cui oggettiva bruttezza appare adeguata alla situazione in corso, molte cose dovranno essere prese in mano dalle future amministrazioni. Compresi atti coraggiosi, quali ad esempio la creazione di misure sanzionatorie per chi abbandona i negozi sfitti al pubblico ludibrio e con questo contribuisce a danneggiare quel che resta di danneggiabile. La città non appartiene né al Comune né ai proprietari edili: occorre ritrovare visione e iniziare a cambiare musica.
Ultimi commenti
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]