Si parla molto di centro storico, ora che la politica ha deciso di trasferire nella zona Campovolo la gran parte degli investimenti pubblici. Se ne parla soprattutto in termini astratti, quasi che le formule teoriche fossero declinabili a ogni ecosistema urbano e che come tali potessero ovunque funzionare. Il problema è che gli amministratori, almeno quelli attuali, non capiscono anche per ragioni anagrafiche dove risieda l’anima del centro storico e, di conseguenza, della città nella sua storia.
Non puoi capire il centro se non sai cosa abbia significato per generazioni vicolo Trivelli. Era la Carnaby Street reggiana, con enormi flussi di clientela da fuori. Provate a guardare com’è ridotta oggi. Non puoi capire il centro senza la via Emilia, a parte qualche brillante proposta commerciale, da sempre l’asse dei reggiani in “vasca”. Oggi, a parte il sabato mattina, la vasca non esiste più. Non esiste più per i reggiani doc, ossia la memoria storica di chi Reggio Emilia l’ha costruita e fatta crescere. Non grazie, ma nonostante la politica.
Non puoi capire cosa significhi il centro storico se non hai mai frequentato i giardini pubblici per ragioni ludiche o romantiche: a parte la zona retrostante il Municipale, a suo tempo luogo di sordidi scambi, decine di migliaia di ragazzi reggiani hanno giocato in piazza d’Armi a bordo dei “grilli”. Oggi quei ragazzi diventati adulti o anziani osservano sgomenti il degrado dell’intera zona che dal teatro alla stazione ferroviaria, compresa porta Santa Croce e tutta via Roma, non sono più frequentabili per ragioni di spaccio, di alcolismo, di violenza e di rapine.
Non si può affidare il compito di ripulire il centro storico dalla feccia che lo occupa sempre più giorno dopo giorno a chi a Reggio Emilia non appartiene, nella conoscenza della storia e nel presente. Queste nuove generazioni di aspiranti politici dovrebbero occuparsi d’altro.
Anche perché i risultati si vedono: in centro non si trova da mangiare dalle 14 in poi, ma gli amici degli amici vogliono portare la provincia a tavola al Campovolo: Arena Concerti, ma soprattutto affari lucrosi con ristoratori da fuori, la festa dell’Unità per fare contenti (e contanti) i politici del business, e l’ennesima prova di imbarazzante provincialismo chiamando “boulevard” un pezzetto di campagna dove hanno steso l’asfalto.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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