Il 29 settembre 1911 il governo Giolitti, nell’intento di dare risposta alle aspettative della destra economica e politica più conservatrice, dichiara guerra alla Libia, e di conseguenza all’Impero Ottomano presente in Tripolitania e in Cirenaica. I socialisti, pur appoggiando il governo Giolitti, si dichiarano contrari al conflitto e non esitano ad aderire allo sciopero generale di 24 ore indetto dalla Confederazione generale del lavoro, anche se tutti hanno chiaro che non servirà ad evitare la guerra.
In provincia di Reggio, dove la propaganda pacifista di Prampolini ha messo radici profonde, tutti si dicono contrari al “regno della morte”, come a ogni altra impresa militare. Gli operai delle Officine Meccaniche Reggiane iniziano a scioperare già il 25 settembre, mentre lo sciopero “ufficiale” è previsto per il giorno 27.
A Reggio la contrarietà alla guerra non è in discussione e la mobilitazione è guidata dai giovani della FIGS. Solo il prof. Petrazzani si dice favorevole all’intervento in Libia. Oltre 25.000 persone prendono parte in piazza Vittorio Emanuele al comizio di Prampolini, ma anche in tutti gli altri comuni della provincia le piazze registrano una grande affluenza di popolo.
La guerra di Libia però non è osteggiata a livello nazionale da tutti i socialisti. In particolare gli amici di Bissolati e di Bonomi, cioè i “destri”, fanno sapere di non considerare gli scioperi proclamati come una cosa seria. La loro preoccupazione è quella di non mettere a rischio la collaborazione con Giolitti e l’approvazione del suffragio universale maschile.
Nella rubrica Abbasso la guerra! su La Giustizia settimanale Prampolini risponde a coloro che vedono nella guerra una qualche via utile allo sviluppo economico per le industrie del Nord e uno sbocco alla grande disoccupazione agricola dell’’Italia meridionale. Nella stessa rubrica Prampolini riporta per molti mesi anche una frase di Victor Hugo “Ah! Proclamiamo queste verità assolute, disonoriamo la guerra”.
Agli argomenti economici a sostegno dell’avventura libica, Prampolini contrappone anche una ragione morale che ne motiva il dissenso: l’impresa libica è “un’aggressione, una rapina”, ancora più grave perché nobilitata e giustificata “in nome dell’ideale di patria e di civiltà”.
I riformisti di sinistra (Turati, Treves, Prampolini ecc.) come ha scritto Maurizio Degl’Innocenti: “si rilevarono essere arroccati intorno alla difesa dei valori e dei programmi tradizionali. Essi svolsero il ruolo della salvaguardia della tradizione, impedendo sostanziali cedimenti e contribuendo in misura determinante a circoscrivere lo scissionismo Bissolatiano, non pervenendo però alla individuazione di nuovi strumenti di analisi e nuovi obiettivi e metodi di lotta”.
Le conseguenze economiche del conflitto sono pesanti e si fanno presto sentire. L’economia di guerra, infatti, impone una stretta creditizia che affossa il Consorzio reggiano, forte di 54 cooperative di consumo e la “cooperativa integrale”, che non riescono più a pagare i fornitori. Solo il concorso di tutte cooperative riuscirà a pagare i debiti contratti. La crisi è generale, tanto che, nel 1912, a causa della riduzione degli investimenti, il 60% dei braccianti risultano disoccupati. La preoccupazione economica va di pari passo con la rilassatezza politica e questa constatazione preoccupa molto il gruppo dirigente del partito.
A partire dal congresso di Modena (ottobre 1911) il contrasto tra riformisti di destra e di sinistra si aggrava. Poi un altro fatto incrina ulteriormente i rapporti interni al partito e guadagna le prime pagine dei giornali.
Nel marzo del 1912 Bissolati, Bonomi e Cabrini, a titolo personale e contravvenendo a tutte le posizioni ufficiali espresse dal partito, si uniscono ai delegati degli altri partiti e vanno a congratularsi con il re per essere scampato, il 14 marzo, all’attentato dell’anarchico individualista Antonio D’Alba.
Alla manifestazione indetta al Politeama Ariosto dai nazionalisti, dai liberali e dai democratici, i socialisti non partecipano. La Giunta Comunale a guida socialista telegrafa però all’onorevole Giolitti, protestando contro il “folle attentato” e riaffermando “la volontà di proseguire lungo le vie civili del confronto politico e del progresso”. Lo stesso Prampolini ribadisce su La Giustizia gli stessi concetti. Tale atto, quello cioè compiuto da Bissolati, Bonomi e Cabrini, inevitabilmente assume un carattere politico di assenso alla monarchia e al governo, risultando tanto grave da attirarsi le ire del resto del partito e soprattutto della sinistra rivoluzionaria, ora guidata da Benito Mussolini da Forlì. Il partito resta scandalizzato e molti pretendono la loro espulsione. La resa dei conti è solo rinviata all’imminente XIII congresso nazionale del partito.
Dal 7 al 12 luglio 1912, alla presenza di 600 delegati, si svolge dunque presso il Politeama Ariosto di Reggio la massima assise del Partito socialista. Prampolini è ammalato e spetta al sindaco Roversi porgere ai convenuti il benvenuto a nome di tutta la cittadinanza. I delegati reggiani partecipano all’assise in rappresentanza di 2810 iscritti. L’attesa del mondo politico è enorme e tutte le maggiori testate giornalistiche hanno inviato i loro corrispondenti. La stessa Giustizia offre ai suoi lettori un’ampia sintesi quotidiana di tutti gli interventi che si susseguono.
Mussolini, a proposito del suffragio universale tanto caro a Bissolati, parla “cretinismo parlamentare”, considerandolo un espediente borghese per restituire funzionalità al sistema, così come tutte le altre riforme care a Giolitti. Poi propone l’espulsione dei tre riformisti, rei d’aver fatto visita al re, che per il rivoluzionario di Forlì è un cittadino inutile che ha semplicemente subito un infortunio di mestiere. A loro carico si deve aggiungere anche la posizione di sostanziale accettazione della guerra di Libia, l’opposizione alla quale è costata a Mussolini, e al repubblicano Nenni, il carcere.
Per tutta la durata dei lavori congressuali Turati e Treves, che vorrebbero evitare l’espulsione, tentano invano di mediare tra le posizioni delle diverse correnti. L’illustrazione della posizione dei riformisti reggiani spetta, in assenza di Prampolini, a Zibordi, e lui assolve il compito con forza e convinzione. Nel suo lungo e applaudito discorso ricorda quanto detto e scritto in tempi non sospetti su La Giustizia settimanale e quotidiana contro la logica parlamentarista dei “destri” e la guerra di Libia.
La difesa dei “destri” è tenace, franca, leale. Prima di prendere la parola, Bissolati confida a un delegato della parte avversa: “State attenti. Date il partito in mano a un ragazzo che insanguinerà l’Europa”. Il suo intervento è pacato ma fermo nella riaffermazione dei suoi convincimenti politici. Afferma che i socialisti devono perseguire una politica di riforme e il proletariato deve avvalersi delle stesse armi di cui si avvalgono i suoi avversari di classe e i parlamentari non devono limitarsi a protestare ma devono avere il coraggio di promuovere le riforme sociali.
La visita al re invece ha avuto lo scopo d’evitare al proletariato un’ondata reazionaria. In politica estera ribadisce infine il suo convincimento che di fronte al montante nazionalismo (tutta Italia canta Tripoli, bel suol d’amore e Giovanni Pascoli declama La grande proletaria si è mossa!) sarebbe sbagliato lasciare loro il monopolio del sentimento patriottico.
Il dissidio profondo, in realtà, non riguarda tanto la visita al re o gli interessi economici in Libia, quanto una diversa interpretazione dell’azione socialista e il diverso giudizio sulla funzione storica del partito. I “destri” -secondo gli intransigenti- riducono l’azione socialista ai sindacati e alle cooperative, svilendo quella propagandistica o più propriamente politica e d’opposizione.
L’ordine del giorno presentato da Mussolini che prevede l’espulsione di Bissolati, Bonomi, Podrecca (direttore de L’Asino) e Cabrini ottiene la maggioranza dei consensi congressuali: Mussolini 12.556, riformisti di sinistra (Modigliani) 3.250, Reina 5.633, infine gli astenuti, cioè i destri bissolatiani 2.027. Il congresso d’altra parte si era aperto con la sentenza già scritta. Il 10 luglio i quattro espulsi e i loro delegati si riuniscono all’hotel “Scudo di Francia” di Reggio annunciando la nascita del Partito socialista riformista italiano.
Turati dal podio del Politeama Ariosto li ammonisce: “In Italia non v’è posto, oggi, per due partiti socialisti. Se riusciste ad opporre al socialismo degli ideali quello degli interessi, a creare un partito labourista, avreste fatto insieme il danno nostro e il vostro. Non farete che un partito di candidati, non socialista abbastanza per avere le masse, troppo democratico per non dar ombra all’ombra di ciò che fu la democrazia, non foss’altro, per gelosia dei Collegi. Avrete tutti gli arrivisti… sarà il vostro castigo. E avrete indebolito noi, riformisti fedeli al partito, che già, per l’antica solidarietà, siamo dei sospetti, quasi dei sottoposti a vigilanza speciale”.
I riformisti reggiani, pur criticando le posizioni dei “destri” si mostrano contrari alla loro cacciata per non indebolire il partito, ma anche per non trovarsi esposti e isolati nel partito. La maggioranza dei delegati reggiani vota per l’OdG del monzese Reina, che vorrebbe evitare l’espulsione con una semplice ammonizione. Il solo delegato di Scandiano, Pietro Artioli, si schiera invece con Bissolati, aderendo al PSRI.
Al termine del congresso Lazzari è eletto segretario, la direzione dell’Avanti! passa da Treves a Bacci e poco dopo a Mussolini.
La guerra di Libia continuerà tra delusioni, dispiaceri e vittorie fino all’ottobre 1912, quando, il 18 dello stesso mese, sarà firmato a Losanna l’atto ufficiale di pace. La guerriglia dei resistenti berberi continuerà però ancora a lungo, dando incertezza e instabilità all’amministrazione italiana. La vittoria italiana lascerà ben presto il posto alla disillusione in chi aveva creduto in grandi guadagni e immediati vantaggi economici.
Bella ricostruzione storica, purtroppo la storia si ripete… qualcuno ci sta già guadagnando e ci guadagnerà da questa sporca guerra in cui ci hanno tirato dentro, e per pochi che ci guadagneranno il popolo pagherà dazio … più i morti che per ora sono in conto a terzi… ma si sa i morti soprattutto nelle guerre “etiche” di buoni contro cattivi sono irrilevanti tutt’al più collaterali.