Processo per l’omicidio di Saman Abbas, la madre e il padre: “Non siamo stati noi”

Saman Abbas a Novellara – QG

“Siamo uscite insieme, ho visto Saman che si stava incamminando molto velocemente, poi l’ho vista sparire”: è questa la ricostruzione di Nazia Shaheen, madre di Saman Abbas, nelle dichiarazioni spontanee rese – con la mediazione di un’interprete – nell’ambito del processo d’appello in corso a Bologna sul delitto della figlia diciottenne, per il quale in primo grado è stata condannata all’ergastolo.

Subito dopo la donna, che fino a quel momento aveva ripercorso quanto accaduto durante la giornata del 30 aprile 2021, ha chiesto di sospendere l’udienza. In precedenza aveva riferito ai giudici che la figlia, quella sera, aveva espresso l’intenzione di andarsene da casa per tornare in comunità, mentre lei e il marito avevano cercato in tutti i modi di dissuaderla.

Ma ha escluso qualsiasi coinvolgimento nel delitto: “Non sono stata io a uccidere mia figlia”, ha detto, piangendo: “Io sembro essere in vita ma in realtà mi sento morta, e finché non morirò passerò la mia vita piangendo. Ho insistito nel voler rientrare in Italia per dire la verità. Non riesco a dimenticarmi di Saman, ho sempre il suo ricordo”.

Saman Abbas, svanita nel nulla proprio nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio del 2021 dalla sua abitazione di Novellara, fu ritrovata senza vita dopo un anno e mezzo, alla fine di novembre del 2022, sepolta a tre metri di profondità nelle campagne della Bassa reggiana.

In primo grado sono stati condannati all’ergastolo la madre Nazia Shaheen e il marito Shabbar Abbas, mentre lo zio della vittima, Danish Hasnain, è stato condannato a 14 anni di reclusione. Assolti, invece, i cugini della ragazza, Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, anche se la Procura di Reggio ha impugnato la sentenza di assoluzione in appello, convinta che anche loro due siano stati in qualche modo coinvolti nell’omicidio della ragazza.

Anche il padre della vittima, Shabbar Abbas, in aula ha ribadito la sua estraneità: “Non siamo stati noi genitori a uccidere nostra figlia. Abbiamo fatto molta fatica a crescere i nostri figli. Ho forte dolore, dal momento in cui l’ho scoperto fino a oggi. Lo avrò per tutta la vita”.

“Io non so, adesso, cosa è successo e cosa è stato fatto. Ho sentito Danish che ha dichiarato che erano presenti lui e gli altri due (i cugini, ndr), quindi penso siano stati loro tre”, ha aggiunto (anche lui parlando in pakistano e tradotto da un interprete). “Come ha detto mia moglie, noi uscimmo di casa, lei (Saman, ndr) andò in strada, era buio, non abbiamo visto nulla. Pochi momenti prima c’era stata una chiamata di Saman, che aveva fatto dal bagno: ha detto ‘vieni a prendermi’. Pensavo fosse il ragazzo con cui stava, e per quello chiamai Danish per dirgli: ‘Fatevi trovare per dargli una lezione, ma non picchiatelo troppo’. Poi sono uscito di casa per vedere che non facessero qualcosa di grave, ma non ho visto nessuno, non ho sentito nessuna voce. La mattina dopo chiesi a Danish cosa avevano fatto col ragazzo, mi dissero che non avevano fatto niente, non erano neanche venuti sul posto. Poi siamo partiti per il Pakistan”.



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