Prampolini si trasferisce a Milano

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Dopo lo spostamento de La Giustizia quotidiana a Milano e la chiusura definitiva di quella domenicale, Prampolini si sente particolarmente solo, inutile e depresso. Il partito non c’è più, molti compagni si sono allontanati dalla città o, come Turati, pensano di raggiungere la Francia per ricostruire all’estero il partito. Chi è rimasto non si espone per il timore di mettere in pericolo la propria famiglia.
Le amministrazioni pubbliche, il sindacato e le cooperative sono ormai in mano ai fascisti. La vita a Reggio è diventata insopportabile e irriconoscibile.

Camillo soffre il silenzio dei compagni che lo circonda e, allo stesso tempo, teme per la loro vita.
Dopo una lunga e penosa riflessione, decide pertanto di allontanarsi da Reggio. All’inizio del 1926 prende contatto con i compagni più fidati (Zibordi, Storchi, Anceschi, Alberini, già sindaco di Reggiolo e l’onorevole Mazzoni, ex dirigente della Fedelterra) già residenti a Milano per chiedere loro consiglio e aiuto per l’espletamento degli aspetti pratici che tale decisione comporta.

In particolare ha bisogno di un alloggio che non costi molto e di un lavoro che gli permetta di vivere.
In una lettera all’amico Bellentani si descrive come un “Vecchio albero sradicato dal suolo ove nacque e trapiantato in altra terra lontana, io ormai non posso dar frutti e non esisto che per morire, come dico sempre agli amici”.

La sua condizione è simile, d’altra parte, a quella che vivono molti altri antifascisti. Zibordi si difende con qualche lezione privata, Storchi gestisce con la moglie una rivendita di sale e tabacchi, Mazzoni un negozio antiquario. Di politica ormai non parlano più, almeno nelle lettere che si scambiano e che sanno essere sottoposte a censura.

Paride Alberini riesce a trovare, vicino alla sua abitazione, un modesto appartamento di tre stanze al numero 2 di via Tantardini, una strada periferica non asfaltata del quartiere popolare di porta Ticinese. Con il sessantasettenne Prampolini ci sono la sorella Lia e la figlia Piera.

Per quanto riguarda il lavoro, gli amici dapprima gli trovano la possibilità di tenere la contabilità di alcuni alberghi, poi è Nino Mazzoni a offrigli un impiego presso il suo negozio, “Casa bella”, di via Manzoni. A maggio 1926 può finalmente trasferirsi a Milano.
Prampolini si occupa dell’amministrazione, non disdegnando talvolta il ruolo del commesso accanto ad un altro reggiolese, tal Fernando Parenti.

La politica è ormai lontana e confessa agli amici più fidati, di sentirsi “un esiliato in patria”. Solo raramente esprime qualche considerazione sull’Italia e sul partito.

Nino Prandi (1895-1991), (il terzo da sinistra) fondatore con Arturo Nironi della omonima libreria, luogo storico di incontro degli antifascisti reggiani, socialista
prampoliniano, membro del Comando Piazza, arrestato e condannato a morte.
Nel dopoguerra proseguì la sua intensa attività culturale e artistica nel settore librario.

Camillo soffre di malinconia per la sua Reggio, è scoraggiato di sentirsi impotente di fronte a tanta catastrofe e spesso viene colto da depressione. In una lettera del 9 gennaio 1927 inviata a Dimma Fantesini, giovane donna reggiana che aveva svolto mansioni di segreteria alla Camera del Lavoro, scrive: “Non può immaginare come Milano mi faccia sempre più rimpiangere la vita provinciale e quanto mi giungano graditi i saluti dei buoni amici che abbiamo lasciati a Reggio e dei quali la grande città ha perduto la stampa. Quanto più rimango qui tanto più divento reggiano. Forse è anche l’effetto dell’età, più si invecchia e più si vive del passato. Del resto il presente è tanto triste per me, anche indipendentemente dalla politica, che non so come potrei amarlo. Mi considero virtuoso perché ho la forza di sopportarlo”.

Sempre all’amico Bellentani, il 29 gennaio 1927, confida la tristezza che lo tormenta, confidandogli che anche in seguito all’attentato di Zamboni a Mussolini, avvenuto alla fine di ottobre 1926, ha chiaramente percepito la sua ormai irrilevanza e inoffensività politica.

“In occasione dell’ultimo attentato non ebbi disturbi di sorta, non fui nemmeno piantonato come la volta precedente, né ho ricevuto diffide di alcuna specie. Si vede che anche il littorio si è persuaso di non dover assolutamente nulla da temere da me”.

In realtà, come risulta dalle carte conservate presso i Casellario Politico Centrale, Prampolini continuava a rappresentare un motivo di preoccupazione per le autorità fasciste che continuerà a vigilarlo fine alla fine dei suoi giorni.