Politica e cultura, divergenze parallele

Antonio Gramsci bianco e nero

Se il passato è una gabbia, liberiamocene. Guardiamo al presente e al futuro. La tradizione del movimento operaio e socialista è una storia importante, e contraddittoria, di emancipazione, di libertà e di “tradimenti”. I primi socialisti guardavano al futuro partendo dal presente. E i tanti io di “servi” e “pezzenti” è diventato un noi di uomini e donne che volevano essere liberi. Oggi ci sono tanti io, il noi è sfumato sullo sfondo se non addirittura scomparso nella maggior parte delle coscienze. È una condizione possibile, il noi?

È sempre tempo di crisi. L’oggi è sempre descritto peggio di ieri. Ma è vero? Pensiamo al XX secolo: le due guerre mondiali, il colonialismo, il fascismo, il nazismo, lo stalinismo, il franchismo (per rimanere solo all’Europa): e gli anni ’50, ’60 e ’70 non sono stati tempi di crisi economica, politica, di terrorismo e di altro ancora? E gli anni Cinquanta del Novecento, ad esempio, non sono stati per la sinistra italiana tempi di lacrime e sangue?

Vecchio e nuovo convivono nella stessa realtà politica, culturale, sociale ed economica. Non vi sono cesure nette. Le novità spesso sono sotto traccia e sbucano come fiumi carsici, all’improvviso.

Gramsci è vivo, sicuramente, per una cosa: per l’invito a studiare la realtà in cui si vive, locale e mondiale. Se lui prospettava, paradossalmente, un “Anticroce”, il filosofo egemone della cultura italiana a cavallo dell’Otto-Novecento, oggi dovremmo prospettare non solo un “Antipopulismo” ma anche una vigorosa visione del mondo libera dal soffocante rapporto padrone-servo, sganciata dall’idolatria del libero mercato.

Elaborare una visione del mondo che sappia introdurre elementi perequativi in società in cui la disparità tra ricchi e poveri è sempre più ampia. Ma va fatto senza retorica e senza pensare che il passato sia meglio del futuro. I politici devono essere architetti, ossia progettatori di futuro. Partire dalla cultura concreta, da una “filosofia della prassi” che sappia interpretare la realtà e trasformarla, diventando testa e gambe della volontà di cambiamento.

Il mondo del lavoro è un coacervo di realtà singole senza quella forza connettiva che nel secolo scorso ha messo in movimento milioni di persone, uomini e donne, giovani e vecchi. Lavorare e studiare per capire cosa pensano e sentono milioni di persone, lavorare e studiare per capire qual è la loro – e la nostra – condizione. Siamo prigionieri di un’autoreferenzialità perniciosa…

Agire dove le persone, nella loro condizione sociale, vivono e lavorano. Consapevoli del fatto che le condizioni economiche non determinano immediatamente una conseguente visione del mondo. Bisogna entrare politicamente e culturalmente in questo “sfasamento” tra coscienza e realtà. Checché se ne dica, l’egemonia culturale è tutto.

Agire però significa avere in mente sia l’“Antipopulismo” sia la visione del mondo a cui accennavo sopra. Se l’aspirazione dominante è il consumo, inteso nel senso più ampio, una cultura, un’etica e una morale conseguenti, che si prefiggano la costruzione di una realtà diversa, devono avere solide basi teoriche, non intellettualistiche né moralistiche. Devono cioè divenire carne e sangue di quel futuro che parte dall’oggi, ma non disdegna il passato, cioè la memoria storica.

E chi può dare carne e sangue alle idee, se non gli uomini e le donne che di quelle idee sono gambe e testa? Ecco perché cultura e politica dovrebbero interagire. E alla politica il compito di agire. È l’azione combinata alle aspettative che la rende concreta. Oggi è difficile vedere una cultura e una politica con queste caratteristiche. Si può fare l’elenco delle cose più belle del mondo, ma un elenco è sempre un elenco. E, paradossalmente, mette a posto la coscienza. La pacifica.

Come quello che segue: com’è oggi il rapporto tra capitale e lavoro, tra ecologia e sviluppo (sostenibile), tra Stato e welfare, tra l’etica e la scienza, tra Stato/nazione, Europa e mondo; qual è il rapporto uomo-donna, quali sono i diritti e i doveri dei cittadini, ecc.?

Infine, per tornare al nostro ragionamento, come la Chiesa ha una sua anima profetica (i Dossetti, papa Giovanni XXIII, i Balducci, papa Francesco…) così un partito non può prescindere dall’essere anche “profeta”, non tanto di verità ma di futuro, perché la politica non è solo amministrazione dell’esistente ma costruzione reale del futuro che può (e deve) concretizzarsi attraverso l’intreccio dialettico tra politica e cultura. Bisogna avere alle spalle solide basi politiche, di studio, di vita. Perché si vede quando s’improvvisa e, così, la politica scade a mera lotta di potere. A una politica di piccolo cabotaggio.




Ci sono 2 commenti

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  1. GIOVANNI PAOLO

    Il passato è passato, il futuro non esiste ancora.
    LA VITA E’ HIC ET NUNC ( QUI E ORA ) ci insegna la Chiesa MATER ET MAGISTRAM.
    Le ideologie, per sussistere, hanno bisogno di addomesticarsi il passato e promettere il sol dell’avvenir.
    Ormai però non ci credono nemmeno gli ideologi ( se ne esistono ancora ).
    CRISTUS VINCIT, CRISTUS REGNAT, CRISTUS IMPERAT. – QUI E ORA ( HIC ET NUNC )


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