La conseguenza più estrema della campagna elettorale permanente resa possibile dai social media consiste a mio avviso nella conclamata impossibilità di assumere uno sguardo equanime su fatti e avvenimenti politici in Italia.
Chi si sforzi di osservare e raccontare gli eventi astraendosi dalla partecipazione diretta al confronto viene progressivamente sempre più emarginato o, peggio, sospettato di svolgere un subdolo doppio gioco.
E a scrivere “confronto” va grassa: i social sono invasi da continui match, accuse, insulti, aggressioni contro questo o quello.
A questa corrida quotidiana partecipano tutti, governanti e oppositori, al punto che viene da chiedersi dove trovino il tempo per governare o contro-governare, e soprattutto se e a quale grado di accelerazione sia stabilito il limite oltre cui il profluvio di post e di tweet si plachi per lasciare spazio a un minimo di riflessione, di approfondimento, di eventuale discussione su basi di reciproca legittimazione.
Che la tecnologia di comunicazione always on nella declinazione italiana abbia preso la mano un po’ a tutti, a iniziare dalla politica, mi sembra incontrovertibile. E d’altronde, se il presidente degli Stati Uniti, ossia l’uomo verosimilmente più potente della Terra, non manca appena sveglio la mattina di far sapere al mondo i suoi pensieri via Twitter è abbastanza comprensibile che da noi si punti a fare meglio, non fosse altro che per la tradizione melodrammatica della quale è impregnato l’ethos pubblico.
Nondimeno da questa corrida infinita non può scaturire alcunché di utile a noi e alla patria. Poiché l’odio genera odio, il rancore genera rancore, la rabbia genera rabbia. Si tratta di pulsioni, di istinti, non di riflessioni, non di evoluzioni.
Così su ogni argomento e a qualsiasi ora del giorno la dittatura social propina una sensazione fallace di libertà. Fallace poiché nella partecipazione al dibattito sembra non esistere lo sguardo terzo: sei pro o contro Salvini, pro o contro Di Maio, pro o contro i vari esponenti delle correnti del Pd. La sensazione di vaga ebbrezza prodotta dal contatto continuo con il leader/influencer è in realtà illusoria. Riproduce sistemi di controllo, obbliga alla logica di schieramento e vellica gli istinti peggiori. Tutti indossano casacche tra i social, come nella curva di uno stadio. E lo spazio reale di libertà non è gratuito: ne paga un prezzo la qualità della democrazia, che viene sospeso tra rappresentanza e azione diretta senza che vi sia il pieno riconoscimento dell’una o dell’altra.
Passerà anche la social-dittatura. Passerà con l’evoluzione della tecnologia e con essa delle relazioni tra umani. Ma non ne usciremo indenni. Più si alimenta la rabbia, meno si qualifica la convivenza.
Questo sì che è un peccato: trascorrere il tempo a scannarsi via web per gratificare le ambizioni di questo o quel politico è in fondo davvero frustrante.
Tutto vero, il problema è che oramai il mondo và in quella direzione, se non ti adegui sei fuori dal contesto, obsoleto, vai a spiegare che prima di dire e fare qualcosa sarebbe il caso di rifletterci un attimo…
Già Facebook era ed è pericoloso, ma è stato rimpiazzato da twitter perché più immediato, ok fra ragazzini potrebbe anche andare, ma fra capi di stato(non solo fra loro) a me sembra proprio una puttanata…. sono stato tacciato di obsolescenza da amici e colleghi (anche dai famigliari)perché non volevo dotarmi di uno smartphone, pensavo che sedersi davanti a un pc , sia pur di malavoglia, ti desse la possibilità di riflettere un’attimo, riducendo i margini di errore sia nel lavoro che nel sociale, ora l’ho dovuto prendere altrimenti perderei pure l’operatività sulle mie cose…
Ma WhatsApp no , su quello tengo duro, il problema è che con gli sms normali non mi ha più in nota nessuno, ma prima o poi avrò la mia rivincita, prima o poi scoppierà una guerra di quelle vere per una twittata fuori luogo!
Speriamo almeno che i codici di lancio siano da inserire all’interno della famosa valigetta e non sullo smartphone.
Concordo totalmente……aggiungo che negli anni abbiamo assistito alla continua riduzione del numero di righe e poi parole di articoli e comunicati. Cosa che impedisce di fatto riflessioni e approfondimenti profondi e ben motivati. E tutto questo in modo assolutamente bipartisan. :/