Partigiani cattolici ricordano Morelli: primo a entrare a Reggio, poi vittima del fuoco ‘amico’

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I Partigiani cattolici, in Elio Ivo Sassi (sindaco di Villa Minozzo e presidente Alpi-Apc) e Giuseppe Pagani (presidente Anpc), ricordano il combattente per la libertà e giornalista de La Penna e poi La Nuova Penna, Giorgio Morelli, morto a 21 anni in un sanatorio dopo essere stato vittima di un attentato da parte di alcuni partigiani (comunisti) per le scomode inchieste che scriveva. In particolare quella sulla morte dell’amico Mario Simonazzi, comandante Azor.

Scrivono i partigiani cattolici: “Giorgio Morelli, “Il Solitario”, è il primo partigiano che entra nella Reggio liberata dai nazifascisti.
Un ragazzo con il Tricolore che entra nella nostra città, finalmente libera.
“Il Solitario” aveva 19 anni.
Un amico molto stretto di Giorgio Morelli, Eugenio Corezzola, anch’egli partigiano e giornalista, così descrive quel momento: “Reggio sembrava una città morta quel pomeriggio del 24 aprile. La via Emilia era deserta. In realtà tuti spiavano dalle fessure delle persiane in spasmodica attesa. A un tratto, però, si vide un giovane solo avanzare da San Pietro, che montando una vecchia bicicletta gridava : siamo liberi! stanno arrivando! E qualche finestra iniziò così ad aprirsi. Il ragazzo era disarmato e aveva grandi occhi espressivi e un fazzoletto tricolore al collo. Era Giorgio Morelli”.
Lo stesso Giorgio Morelli ricorderà questo momento nello scritto “Ed ho pianto”.

Nato ad Albinea il 29 gennaio 1926, cattolico, nella primavera 1944 entra nella formazione partigiana Brigata Garibaldi per uscirne nel 1945 ed entrare nelle Fiamme Verdi, i partigiani cattolici, arruolandosi nella 284 sima Brigata “Italo” fondata da don Domenico Orlandini, “Carlo”, operante nelle province di Reggio Emilia e Modena.
Giorgio Morelli e Eugenio Corezzola nella primavera 1945 fondano “La Penna” giornale delle Fiamme Verdi. Conclusa la guerra riprendono la testata con il titolo “La Nuova Penna” esperienza conclusa nel 1947.
Il giornale si caratterizza per uno spirito assoluto di giustizia e di verità e per questo, giornale e promotori, subiranno forti intimidazioni.
Il coraggio e la sete di verità di Giorgio Morelli saranno all’origine, il 27 gennaio 1946, di un attentato. Mentre rientra nella sua casa di Borzano è vittima di un agguato durante il quale gli vengono sparati sei colpi di pistola di cui uno ne ferisce un polmone. Trasferito in un sanatorio di Arco, Trento, non riesce a guarire e muore il 9 agosto 1947.
Aveva solo 21 anni.

Questo il testo scritto dal partigiano Giorgio Morelli, detto “Il solitario”, nel ricordo di quel 24 aprile 1945, giorno della Liberazione di Reggio.

Ed ho pianto.
Alle ore 17 del 24 aprile sono entrato in Reggio, primo patriota della montagna ad annunciare al popolo l’ora della Liberazione.
Ho percorso le vie della città, mentre ancora s’udiva al di fuori il rombo del cannone, ed ho gridato a quanti incontravo sul mio cammino che i patrioti scesi dalla montagna erano alle porte e stavano per entrare a compiere l’ultima tappa della riscossa nazionale.
Al primo apparire ho udito, sorpreso, una applauso forte e sincero che si è propagato veloce per le strade percorse; che è man mano cresciuto in un’onda di entusiasmo e di commozione.
Che si è tramutata dopo pochi minuti in un’atmosfera elettrizzata dalla più spontanea e sconosciuta gioia del popolo.
Ho gridato con tutta la mia voce la prima parola di libertà dopo tanti anni di schiavitù; ho recato ai fratelli della città l’annuncio dell’arrivo dei “Volontari della libertà”.
Ho portato sul petto, per le contrade sino a ieri calpestate dallo straniero, il primo Tricolore, simbolo della vera Italia.
Ho visto questo popolo reggiano uscire in massa dalle porte, sbucare di corsa dalle vie, aprire tutte le finestre, gettare mazzi di fiori.
Ho visto centinaia di braccia protese in un vano arresto, ed i volti di questa gente dischiudersi in un sorriso indimenticabile.
Ho udito una marea di voci, di evviva, di grida, di sensazioni indicibili, e sopra tutto questo mi è giunto: il calore di un applauso instancabile che la mia giovinezza non ha mai raccolto.
Ed ho pianto.
Ho pianto perché l’ora che ho vissuto oggi è la sola che abbiamo attesa da tempo con ansia infrenata; che è rimasta chiusa, soffocata, imprigionata in noi durante le ore della nostra lotta clandestina; che è straziata da tutte le torture incise sui corpi dei martiri; che è vilipesa dalle rappresaglie dello straniero; che è incorporata dal sangue dei nostri caduti; ma è un’ora che, in questa primavera di elevazione, è sbocciata nella più rivoluzionaria purificazione a ridare al popolo fiducia nella Pace, nella Giustizia, nella Libertà.
In quest’ora, sino ad oggi sconosciuta o forse incompresa, il sacrificio silenzioso e sublime di tutti i miei fratelli di lotta, ha ricevuto nella manifestazione ardente del popolo la sua più alta consacrazione”.