Parma. Imposte evase per 42 milioni di euro, sequestrate le quote di cinque aziende della logistica

Guardia di finanza di Parma controllo pc

Martedì 24 maggio gli ufficiali di polizia giudiziaria della Guardia di finanza di Parma hanno dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo impeditivo – emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Parma su richiesta della procura della città ducale – della totalità delle quote del capitale sociale di cinque imprese (una capogruppo e altre quattro ritenute società satellite) con sede operativa a Parma e attive nel settore della logistica, in particolare nel campo del facchinaggio e della movimentazione delle merci; contestualmente è stato nominato un amministratore giudiziario delle quote societarie in questione.

Nella stessa operazione è stato portato a termine anche un sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta (e, in alternativa, per equivalente) a carico di sei soggetti economici, ai cui rappresentanti legali sono contestati gravi reati fiscali: il sequestro ha riguardato beni mobili, immobili e disponibilità liquide fino all’ammontare delle imposte risultate complessivamente evase nell’arco temporale 2017-2020, pari a circa 42 milioni di euro.

Le attività investigative, dirette dalla procura emiliana e svolte dal nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Parma, sono state avviate in seguito a due infortuni sul lavoro verificatisi all’interno dei magazzini di movimentazione delle merci della società di logistica e che hanno coinvolto due lavoratori stranieri, risultati poi dipendenti di imprese e cooperative terze.

Le indagini hanno consentito agli inquirenti non solo di ipotizzare diverse violazioni alla normativa antinfortunistica, ma anche di individuare un’unica realtà economica di riferimento, l’esistenza di diversi contratti di appalto e di sub-appalto “interni” (grazie all’interposizione di altre società appartenenti allo stesso gruppo) e la coincidenza delle dirigenze delle varie realtà aziendali del gruppo logistico.

A quel punto le attività investigative sono state estese alla ricostruzione dei rapporti commerciali e societari tra tutte le imprese individuate, per verificare la genuinità dei contratti d’appalto di manodopera in essere: questo allargamento ha evidenziato, secondo la procura di Parma, l’esistenza di un meccanismo fraudolento ideato e realizzato dall’azienda capogruppo mediante il ricorso a numerosi contratti d’appalto ritenuti non genuini.

Secondo l’ipotesi accusatoria, infatti, le imprese appaltatrici avrebbero in realtà fatto parte di un’unica struttura direttiva e organizzativa, facente riferimento in tutto e per tutto all’azienda capofila: dalle assunzioni alla gestione del personale facente capo alle diverse “consociate”, fino all’organizzazione del lavoro e alle decisioni sulla retribuzione dei lavoratori.

Per la procura, inoltre, la capogruppo avrebbe determinato anche le tariffe che le imprese appaltatrici avrebbero dovuto praticare nei suoi confronti, ricorrendo a un collaudato sistema di conguagli – anche da centinaia di migliaia di euro – che sarebbero serviti a compensare a fine anno (e dunque a posteriori) eventuali ulteriori costi non preventivati e a redistribuire i margini a cascata sulle società satellite, in modo da eliminare qualsiasi rischio d’impresa in capo a queste ultime, portandole nel peggiore dei casi quantomeno a una situazione complessiva di pareggio tra costi e ricavi.

L’ingerenza dell’impresa capofila, stando alle indagini, sarebbe stata assicurata sia attraverso l’impiego presso le società satellite di persone di fiducia con incarichi dirigenziali (i quali, nonostante la posizione ricoperta, avrebbero agito in nome e per conto della capogruppo) sia mediante la realizzazione – meramente formale – di una rete d’impresa, all’interno della quale però tutte le decisioni erano assunte dall’azienda capogruppo.

Tra le “consociate”, inoltre, c’erano anche tre cooperative di produzione e lavoro che, secondo quanto emerso durante le verifiche, sarebbero state di fatto prive dei requisiti mutualistici ma che, in virtù della veste formale loro attribuita di società cooperativa, avrebbero in alcuni casi beneficiato di un regime fiscale agevolato sul reddito prodotto di cui non avrebbe potuto usufruire la capogruppo, trattandosi di impresa commerciale.

Questo meccanismo avrebbe prodotto vantaggiosi effetti fiscali per la capogruppo: detrazioni dell’Iva delle fatture ricevute dagli appaltatori (per diversi milioni di euro all’anno), costi deducibili anche ai fini Irap (essendo qualificati come costi per servizi), trasferimento di fatto del debito Iva alle società appaltatrici collegate. In un caso, inoltre, una delle imprese “consociate” avrebbe anche trasferito la propria sede all’estero senza versare il debito d’imposta a suo carico, ammontante a circa 500.000 euro.

I reati contestati a vario titolo agli indagati comprendono l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, l’omesso versamento di Iva e l’omessa dichiarazione ai fini dell’Iva per i seguenti importi: Iva evasa per 36.238.821 euro, a fronte di fatture soggettivamente inesistenti di importo totale pari a 164.733.880,35 euro; omessi versamenti di Iva per 16.451.781 euro; omessa dichiarazione Iva per 303.059 euro. A questo si aggiunge la contestazione del reato di lesioni personali colpose per gli infortuni sul lavoro avvenuti all’interno dei magazzini.

Alla società capogruppo e a tre società satellite sono stati contestati anche gli illeciti previsti dall’art. 25-quinquiesdecies del D.Lgs. 231/2001 (responsabilità amministrativa degli enti): la prima si sarebbe dotata di un modello organizzativo deficitario poiché privo di alcun monitoraggio dell’effettività dei contratti di appalto di lavori e servizi; le altre, invece, avrebbero omesso di adottare un modello organizzativo idoneo a scongiurare condotte illecite commesse da chi rivestiva ruoli apicali.