L’operazione della Guardia di Finanza si chiama “Paga Globale”, ma di globale stando agli atti della procura di Parma c’è solo la truffa ai danni dell’Erario e dell’INPS. Era quello l’obbiettivo primario di un “imprenditore spregiudicato, distante dall’evasore occasionale, che cercava e trovava qualsiasi stratagemma illecito per ottenere indebiti benefici, e dei vari professionisti che lo assistevano nel suo intento fraudolento”, dice l’ordinanza di carcerazione firmata dal giudice dott.ssa Sara Micucci.
L’imprenditore è Luigi Sabbatino, 53 anni, residente a Salsomaggiore, titolare della Nuova LS Group srl che si affaccia sulla tangenziale di Fidenza: un’impresa specializzata nella progettazione e nel montaggio di nastri trasportatori per il settore alimentare.
Altre sei persone ritenute complici sono agli arresti domiciliari con divieto assoluto di comunicazione con l’esterno. Si tratta di cinque consulenti fiscali e del lavoro, tutti originari della provincia di Napoli: Angelo Franco, Sebastiano Messina, Enrico Ozzella, Luca Porta e G. C. (l’unico che vive in Emilia). Il sesto è un imprenditore di Crotone residente a Cutro, Giuseppe Lazzarini, che secondo la tesi degli investigatori gestiva un sistema di società cartiere, cioè prive di reali attività, utilizzate da Sabbatino per generare consistenti provviste di denaro contante e per abbattere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto attraverso l’emissione di fatture fittizie.
Questi sette non sono gli unici coinvolti nell’inchiesta, scattata il 16 aprile scorso con 100 finanzieri impegnati in otto province e beni sequestrati per 2,3 milioni di euro. Gli indagati sono in tutto 26 e nelle ricostruzioni delle attività illecite contestate emergono diverse persone residenti in provincia di Reggio Emilia e collegamenti sorprendenti con due imputati di ‘ndrangheta al processo Aemilia: Antonio e Luigi Muto, il primo in carcere il secondo a piede libero, entrambi residenti nella periferia nord est della città.
Partiamo da Sabbatino e dai sistemi fraudolenti utilizzati per risparmiare sui costi aziendali. Il primo è convincere 14 lavoratori dipendenti a produrre certificati di falsa malattia per ottenere la relativa indennità da parte dell’INPS. 256 giorni complessivi tra il 2011 e il 2016, hanno accertato gli inquirenti, nei quali però i finti ammalati continuavano a lavorare, percependo un compenso in nero di 50 euro a giornata equivalente all’indennità. L’unico a guadagnarci è stato Sabbatino che non ha speso un euro per quei giorni di lavoro/malattia, ma del reato di truffa aggravata sono accusati anche i dipendenti disponibili a produrre i falsi certificati e a ricevere false buste paga.
Attestare lo stato (finto) di crisi aziendale e chiedere il ricorso ai contratti di solidarietà ha rappresentato un altro modo abbastanza simile per fregare l’Erario. Il decreto del Ministero del Lavoro aveva autorizzato complessivamente tre anni di ricorso agli ammortizzatori sociali, dal luglio 2013 all’aprile 2016, con una riduzione da 40 a 26 ore settimanali, ma alla LS Group di Noceto gli operai avevano continuato a lavorare ininterrottamente per 40 ore settimanali. La truffa in questo caso, stando ai capi di imputazione, è stata montata dall’imprenditore assieme al consulente del lavoro Angelo Franco, che chiedeva addirittura all’INPS rimborsi per anticipi di stipendio fino a 40 ore settimanali di solidarietà, e al delegato della RSA aziendale Marco Criscito che si era prestato a decretare il falso stato di crisi. Attraverso questo illecito la società ha potuto compensare indebitamente le imposte per un valore complessivo di un milione circa di euro nei tre anni.
A Sabbatino serviva però molto denaro contante per pagare in nero gli operai che lavoravano nonostante la malattia o la solidarietà. E le banconote le ha racimolate secondo l’accusa con il sistema della falsa fatturazione, per la quale sono entrati in ballo anche i reggiani. Alle due società dell’imprenditore (LS Group srl e Nuova LS Group srl) sono arrivate fatture tra il 2011 e il 2015 che la Guardia di Finanza giudica fittizie (operazioni inesistenti) per un valore complessivo di 2,5 milioni di euro. Ad emetterle erano due gruppi di aziende cartiere. Il primo faceva riferimento all’imprenditore cutrese Giuseppe Lazzarini che adottava in accordo con Sabbatino un sistema efficientissimo. Le fatture venivano regolarmente pagate con bonifici e sistemi tracciabili pochi giorni dopo l’emissione, e in alcuni casi anche in anticipo. Lazzarini effettuava a quel punto prelievi in contanti dai conti correnti delle sue aziende con cadenza quasi giornaliera, in diversi uffici bancari e postali dell’Emilia Romagna, con tranches frazionate la cui somma corrispondeva comunque all’importo complessivo entrato attraverso il bonifico. In molti casi la valuta che entrava con le fatture veniva spostata su altri conti correnti o su carte prepagate intestate a prestanome, persone “presumibilmente vicine” a Lazzarini, che provvedevano immediatamente a ritirare il relativo contante. Tra queste persone figurano Giuseppe Mappa, originario di Ramiseto sull’appennino reggiano e Silvano Toni di Ligonchio. Le segnalazioni delle operazioni sospette, relative alle movimentazioni bancarie e postali di Lazzarini, sono state tra il 2011 e il 2015 ben 5mila, per un importo complessivo di oltre 15 milioni di euro. Gli incassi trasformati in contante venivano poi consegnati ad una collaboratrice di fiducia, la reggiana Natascia Zanetti, dipendente dell’agenzia di viaggi Cabotour di Cavriago e residente in città. Era lei che provvedeva a restituirli a Sabbatino trattenendo per sé e Lazzarini una piccola percentuale come compenso per il servizio svolto.
Il sistema di generazione del nero è straordinariamente simile a quelli narrati in alcune storie di Aemilia e i volumi sono consistenti: Sabbatino necessitava secondo gli inquirenti di almeno 30mila euro al mese per pagare gli operai.
La procura di Parma aveva chiesto l’arresto anche di Natascia Zanetti ma il giudice ha negato per lei ogni misura cautelare non essendo sufficientemente provata dalle intercettazioni la sua partecipazione all’illecito. Anche perché spesso i protagonisti utilizzavano espressioni in codice nelle telefonate rendendo difficile attribuire ad esse un significato univoco.
L’altro gruppo di aziende cartiere disponibili ad emettere fatture fittizie per Sabbatino ci porta dritto al processo Aemilia. Si tratta del Consorzio Cemat, che ha sede legale in zona San Prospero Strinati a Reggio, e delle cinque società a responsabilità limitata che lo compongono, quattro delle quali con sede legale in provincia di Reggio Emilia: la Global Service di Cavriago, la Multiservice di via Tonale (RE), la A&P Italia di Cadelbosco Sopra, la Italmec di via Astico (RE). La quinta società è la Arda srl di Casal di Principe in Campania. L’oggetto sociale di queste imprese spazia dall’edilizia alla meccanica generale, dalla installazione di motori elettrici al commercio all’ingrosso di prodotti alimentari e tabacco. Tutte società senza dipendenti e che dichiaravano poco o nulla al fisco. Ma la sola Global Service, per fare un esempio, emette 81 fatture tra il 2011 e il 2012 dirette alla LS Group di Sabbatino per un valore complessivo di 730mila euro circa. La società è al 100% di Mario Mazzotti, 70enne residente a Reggio Emilia in via Peschiera già noto alle forze di Polizia. Mazzotti è anche socio dell’A&P Italia, società controllata da Domenico Gerace che risiede a Cadelbosco Sopra ed è nato in Germania nel 1973, come in Germania era nato un anno prima di lui Gennaro Gerace, residente a Brescello e condannato a tre anni e sei mesi di reclusione nel rito abbreviato di Aemilia. Pietro Arabia, già indagato dalla procura di Reggio Emilia per la gestione di società cartiere, vive a Roncocesi (RE) ed è il legale rappresentante dell’Italmec. Fino al gennaio 2013 era anche il legale rappresentante dell’Arda srl, sostituito poi dall’imputato di Aemilia Antonio Muto (classe ’78), proprietario del 70% delle quote. Muto è stato anche socio del consorzio Cemat e rappresentante legale per un certo periodo della Multiservice, poi passata al cutrese Roberto Le Rose. Per finire c’è Luigi Muto (classe ’75), cugino del collaboratore di giustizia Antonio Valerio e indicato dai nuovi capi di imputazione di Aemilia come un organizzatore a piede libero della cosca dopo gli arresti del 28 gennaio 2015. E’ stato sia il rappresentante legale della Arda srl che del consorzio Cemat, oltre a possedere una quota della Multiservice srl.
L’importo complessivo che hanno fatturato alla sola LS Group di Noceto tra il 2011 e il 1015 è di circa 1,4 milioni di euro. Anche queste società, come quelle del gruppo Lazzarini, non versavano imposte, non avevano personale ed emettevano fatture compilate a mano con la stessa identica calligrafia sebbene provenienti da aziende diverse e lontane geograficamente. Società cartiere per eccellenza, secondo le conclusioni della procura di Parma. Società cartiere come tante ne abbiamo viste negli atti del processo Aemilia, e in più guidate da nomi di spicco che compaiono nella lista degli imputati del medesimo processo.
La procura di Parma nella propria richiesta di arresti contesta ai 26 indagati di “Paga Globale” l’associazione criminale (art. 416 codice penale), senza richiamare il 416 bis (di stampo mafioso). Il giudice Micucci nella sua ordinanza sostiene che non si possono ravvisare neppure gli estremi della semplice associazione per delinquere, non essendo provato il carattere generale e continuativo del progetto criminoso.
Eppure la ‘ndrangheta, se le indagini di Aemilia verranno confermate dalle sentenze, attraverso le società cartiere ci ha fatto i milioni, come ci dicono le frodi carosello, ed è difficile pensare che si accontentasse in Emilia Romagna di “piccole percentuali per i servizi svolti” nel fornire contante a getto continuo.
Nel novembre 2016, sulla base di dati raccolti dalla CGIL di Parma, ci chiedevamo in un articolo di questa rubrica: “Cosa sta succedendo alle Poste? Perché anche dopo gli arresti di Aemilia sono proseguite le movimentazioni sospette, con una certa tipologia di clienti che sta letteralmente prendendo d’assalto gli uffici postali della regione, ritirando in continuazione, e quasi giornalmente, denaro contante proveniente da bonifici per volumi complessivi molto rilevanti. Chi sono questi clienti e per chi lavorano, ammesso che abbiano un mandante?”
L’inchiesta “Paga Globale” qualche possibile risposta l’autorizza. Chiamando in causa Reggio Emilia e la sua storia di ‘ndrangheta.
(da Paga Globale, Parma chiama Reggio – Cgil Reggio Emilia)
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La Cgil di Reggio ha scelto una forma intelligente per seguire il processo Aemilia affidando a uno dei giornalisti più esperti della realtà locale, che è anche autore consolidato di opere di narrativa, lo sviluppo del dibattimento che va svolgendosi in questi mesi a Reggio Emilia. 24Emilia e io personalmente siamo particolarmente grati a Paolo e alla Cgil per averci concesso l’utilizzo dei suoi testi, anche nella consapevolezza che ciò possa contribuire a rendere più capillare la diffusione delle vicende legate alla penetrazione della ‘ndrangheta nella nostra provincia e a far sì che da una maggiore consapevolezza possano scaturire gli anticorpi affinché questi germi di malaffare possano essere definitivamente estirpati dal territorio emiliano. (n.f.)
Ultimi commenti
Ma i commercianti vorrebbero lavorare tutto l' anno...o no?
ok emilia allora è solo per il salvataggio del natale? non capisco bene cosa mi contesti... ripeto e concludo per non far diventare questi sproloqui […]
ho la quasi certezza che se un reggiano autocnono, prova anche solo a reagire come fanno spessissimo questi nostri nuovi amatissimi e alacri cittadini italiani,