Olimpiadi, 46 secondi per il match più divisivo nella storia della boxe

Carini

E’ durato appena 46 secondi il match delle polemiche tra l’italiana Angela Carini  e l’algerina Imane Khelif, incontro valido per gli ottavi di finale dei welter (66 kg) di pugilato femminile alle Olimpiadi di Parigi 2024. Un paio di colpi al volto, e l’atleta italiana per due volte ha chiesto di interrompere il match recandosi all’angolo. “Mi ha fatto malissimo, non voglio continuare”, ha detto toccandosi la punta del naso al direttore tecnico azzurro Emanuele Renzini, che ha inutilmente tentato di convicerla a finire almeno la prima ripresa per poterne parlare con calma.

Match dunque chiuso per abbandono, con l’atleta italiana che al centro del ring evita lo sguardo dell’avversaria, con cui non si complimenta e da cui cerca di evitare i tentativi di consolazione. Poi la Carini si inginocchia sul ring e scoppia piangere.

Stavolta non c’è nessun verdetto arbitrale a provocare lo scandalo, eppure quello tra Angela e Imane – quantunque nettamente vinto da quest’ultima – era e rimarrà il match delle polemiche.

Ad accendere le polveri era stato, il 30 luglio, il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini, ovviamente sui social, là dove vince chi le spara più grosse perché tanto l’importante è inanellare like.  “Pugile trans dell’Algeria – bandito dai mondiali di boxe – può partecipare alle Olimpiadi e affronterà la nostra Angela Carini”, posta Salvini. E apriti cielo. Da lì è una susseguirsi di interventi copincolla: dal presidente del Senato La Russa (“un transgender algerino contro una pugile italiana”) fino, a livello locale, al parlamentare reggiano di Fratelli d’Italia Gianluca Vinci che in maniera contorta, dopo il match, ha commentato: “Un atleta che nasce uomo e diventa donna che compete con chi donna ci è nata davvero e ha lottato per raggiungere i livelli olimpici, non ci si è ritrovata per la propria genetica maschile”.

 

In realtà Imane Khelif non è un affatto un trans, non è mai nato uomo e la questione è molto più complessa. Ma per comprendere le questioni complesse – oltre a un minimo di comprendonio – serve tempo e occorre ragionare, un lusso che non possiamo più concederci  abituati come siamo a far scorrere freneticamente post, reels e stories sui nostri smartphone.

Ci si dovrebbe informare – ad esempio – sull’iperandroginismo (cioè la produzione eccessiva di testosterone da parte di corpi femminili),  sull’intersessualità (che riguarda chi nasce mostrando caratteristiche sessuali primarie e secondarie – quindi genitali, cromosomi e ormoni – non riconducibili univocamente al genere maschile o femminile) e sulla sindrome dell’ovaio policistico, che produce molto ormoni.

Oppure – se non si hanno tutto questo tempo e le competenze necessarie – provare a riflettere ponendosi alcune semplici  domande.

Davvero l’Algeria –  paese certo non tra i illuminati e tolleranti, dove non è certo ammesso il cambio di genere e un codice penale risalente al 1966 prevede fino a 2 anni di reclusione per chi ha rapporti con persone dello stesso sesso – può aver portato alle Olimpiadi un trans?

Come mai la 25enne Imane Khelif pratica la boxe da quando è bambina e ha sempre gareggiato nelle categorie femminili?

Ma soprattutto, se davvero in realtà è un uomo e quando picchia “fa malissimo”,  ai Campionati mondiali di pugilato femminile a New Delhi nel 2018 è arrivata appena al 17° posto, ai Campionati mondiali di pugilato dilettanti femminile 2019 si è classificata 33esima dopo essere stata eliminata al primo round da Natalia Shadrina e alle Olimpiadi di Tokyo 2020 è stata nettamente battuta (5 a 0) ai quarti di finale dall’irlandese Kellie Harrington?

Infine, c’è il tema della sua non ammissione ai Mondiali 2023 organizzati dall’Iba (International Boxing Associaton), nei quali Imane Khelif è stata squalificata dopo un test di idoneità di genere, che avrebbe riscontrato in lei il cromosoma XY.

L’Iba però non è più una federazione affiliata al Comitato olimpico internazionale (Cio), da quando fu sospesa nel 2019 per molteplici scandali di corruzione e il suo presidente, il russo Umar Kremlev, era finito nell’occhio del ciclone per la sua governance e dei problemi inerenti la trasparenza finanziaria.

Da allora Kremlev, imprenditore russo molto vicino a Vladimir Putin, ha spostato in Russia la sede dell’organizzazione, il cui sponsor principale è la società petrolifera statale russa Gazprom. Cio e Iba sono organizzazioni oggi rivali, e i loro criteri di ammissibilità per le categorie femminili sono diversi. L’Iba per altro, a differenza di molti altri organismi sportivi internazionali, continua a consentire agli atleti russi e bielorussi di competere sotto le proprie bandiere nonostante l’invasione dell’Ucraina. (f. m.)

 



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