Si era ormai giunti alla vigilia del XVII Congresso nazionale socialista, convocato a Livorno dal 15 al 21 gennaio 1921, e nel partito si respirava l’aria tesa dei grandi appuntamenti storici.
Da alcuni mesi la discussione interna verteva se fare o no come in Russia, o meglio se attenersi alle direttive imposte da Mosca per accedere all’Internazionale comunista.
Le principali imposizioni richieste dalla III Internazionale erano: il cambio del nome del partito da socialista a comunista e la cacciata dei riformisti. In quei mesi si svolsero continue assemblee di partito, riunioni di corrente, allora si chiamavano frazioni, dibattiti interni agli organi dirigenti, incontri tra il gruppo parlamentare e la direzione del partito per cercare una possibile soluzione unitaria. Tutti però sapevano che i giochi erano in realtà fatti.
La frazione dei “comunisti puri” di Bordiga, Gramsci, Terracini, Togliatti e Bombacci aveva, infatti, già deciso per la scissione e per l’allineamento ai diktat di Lenin. Per contro la maggioranza del partito, pur essendo divisa tra “massimalisti o comunisti unitari” di Serrati, e “riformisti o contrazionisti” di Turati, si dichiarava contraria sia al cambio del nome, sia all’espulsione dei riformisti. Soprattutto non credeva che le condizioni socio-politiche dell’Italia permettessero una rivoluzione come si era realizzata nella Russia zarista. La stessa occupazione delle fabbriche non era stata sufficiente a sconfiggere o anche solo a indebolire la borghesia e le istituzioni monarchiche.
In quei giorni tutti i maggiori leader percorrevano in lungo e in largo il paese per convincere gli iscritti della validità delle loro idee. A solo nove giorni dall’apertura del Congresso nazionale giungeva, dunque, a Reggio Emilia Nicola Bombacci (1879-1943), uno dei capi più carismatici della frazione comunista, invitato a tenere una pubblica conferenza.
I promotori dell’iniziativa erano i referenti comunisti reggiani Angelo Curti, Adelmo Pini e Ulisse Piccinini, fratello del massimalista Antonio. Era il 6 gennaio 1921. Bombacci era stato per breve tempo, dall’ottobre 1919 al febbraio 1920, anche segretario del partito ed era uno dei più amati dirigenti del partito.
Abile conferenziere, riusciva a intercettare l’umore della platea e a essere particolarmente convincente. Conosceva da lungo tempo i reggiani anche per aver insegnato nel 1902 in una scuola elementare del comune di Cadelbosco Sopra, per esservi ritornato alcune volte e soprattutto per aver partecipato al Congresso nazionale di Reggio nel 1912, quello dell’ascesa di Mussolini e della cacciata dei riformisti di destra di Bissolati, Bonomi, Cabrini e Podrecca. L’ultima sua presenza a Reggio risaliva al giugno 1919, in occasione del Congresso provinciale, nel corso del quale sostenne un serrato confronto con Prampolini sulla possibilità di procedere a colpi di scioperi generali a creare condizioni rivoluzionarie.
Deputato e amico d’infanzia di Mussolini, il romagnolo Bombacci rappresentava ora l’anima più agguerrita e determinata nel voler aderire all’Internazionale comunista (la Terza Internazionale). Membro della delegazione socialista al II Congresso della Internazionale comunista aveva conosciuto personalmente Lenin e ne era rimasto affascinato.
In preparazione del Congresso nazionale di Livorno previsto per la metà di gennaio tutte le correnti presenti nel partito si incontravano separatamente per decidere la posizione da assumere all’imminente congresso. I comunisti riuniti a Imola avevano deciso l’incondizionata adesione ai 21 punti di Mosca. Serrati e i massimalisti o comunisti unitari avevano promosso un incontro di deputati a Trieste esprimendosi per l’unità del partito e avevano sottolineato le differenze esistenti tra la situazione russa e quella italiana. I concentrazionisti (riformisti) invece si erano dati appuntamento a metà ottobre a Reggio Emilia.
Al Convegno (10-12 ottobre 1920) erano intervenuti 300 rappresentanti di sezione e frazioni di minoranza di tutte le regioni d’Italia e all’unanimità si erano espressi per mantenere l’unità del partito e per il rifiuto dei 21 punti imposti a tutti i patiti socialisti per aderire alla III Internazionale.
Quando dunque il 6 gennaio 1921 giunse a Reggio Emilia Nicola Bombacci le diverse posizioni in campo erano definite e chiare a tutti.
Come riferì La Giustizia sett. del 9-gennaio 1921, la platea del Politeama Ariosto era gremitissima di compagni, molti dei quali non aderenti alla frazione comunista, venuti da tutta la provincia.
Bombacci conosceva perfettamente l’animo dei compagni reggiani, li sapeva in sintonia con l’insegnamento di Prampolini e quindi aderenti in grandissima maggioranza alla frazione riformista. Conosceva gli esiti del convegno di Concentrazione dell’ottobre 1920 ed era consapevole d’essere giunto nella tana del lupo. Forse per quello e nella speranza d’aumentare le adesioni alla propria corrente, fece appello a tutte le armi del mestiere e della sua oratoria.
Parlò per circa un’ora intrattenendo il pubblico sulla situazione politica ed economica nazionale, allargando poi lo sguardo anche su quella internazionale. Sulla base delle sue convinzioni invitò tutti a essere all’altezza dell’ora rivoluzionaria, seguendo la via indicata dai bolscevichi, che aveva già trionfato in Russia. La strada vincente che tutti i veri rivoluzionari dovevano seguire era quindi quella tracciata da Lenin.
Dimostrando d’essere pienamente consapevole dell’ambiente in cui stava parlando, il suo discorso, più volte interrotto da applausi, pur invitando i compagni a esprimersi in sede congressuale a favore della sua frazione, risultò rispettoso delle altre posizioni presenti nel partito.
Dopo che ebbe terminato la sua conferenza, prese la parola per una semplice dichiarazione l’on Bellelli, che nel porgergli il benvenuto dei socialisti reggiani, si disse convinto che il momento presente necessitasse l’unità di tutto il partito al di là delle diverse sensibilità politiche. Concludendo Bellelli ricordò che il nemico per i socialisti restava sempre uno solo: il capitalismo. Non bisognava sbagliare obiettivo perché un conflitto tutto interno al partito avrebbe rischiato di portarlo all’implosione. Con un lungo e sentito applauso si chiuse la conferenza.
Oggi, purtroppo, sappiamo come andarono le cose. A Livorno si consumò la scissione e nacque il Partito comunista d’Italia, che su suggerimento dello stesso Bombacci adottò il simbolo della falce e del martello per “fare come in Russia”.
La conferenza reggiana di Bombacci non riportò alcun vantaggio alla sua posizione, visto che i comunisti reggiani non riuscirono ad esprimere nessun delegato al Congresso nazionale. La vicenda umana e politica di Bombacci sarà ancora lunga e contradditoria. Verrà espulso dal partito nel 1927, portandolo ad avvicinarsi sempre di più al fascismo e infine ad aderire alla Repubblica di Salò del suo amico Mussolini. Catturato con gli altri gerarchi venne fucilato a Dongo il 28 aprile 1945.
Ma questa è un’altra storia.
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