Sul monte Tabor, che sorge in mezzo alla pianura della Galilea, Gesù conduce Pietro, Giacomo e Giovanni e dinnanzi a loro viene trasfigurato, cambia il suo aspetto: la sua persona diviene luminosa, riflette come in uno specchio la presenza di Dio. La bellezza di questo spettacolo affascina i discepoli, che non vorrebbero più scendere; ma la voce divina accredita Gesù : “Questi è il Figlio mio, l’amato” e, nello stesso tempo, li invita a seguirlo: “Ascoltatelo!” (Mc 9,2-13).
Per una di quelle coincidenze, che faccio fatica a considerare casuali, la festa della Trasfigurazione viene celebrata il sei di agosto; nello stesso giorno, nell’anno 1945, la prima bomba atomica venne fatta esplodere su Hiroshima. Si contrappongono due luci abbaglianti; il lampo atomico sembra voler cancellare la luce amica che splende sul Tabor. Come un colpo di maglio, sembra che venga dichiarato vano e illusorio ogni discorso o argomento che non sia quello della forza e del potere. La luce mortale vuole impadronirsi dei cuori e dei pensieri, ma, di fatto, lo scopo di questa forza è la morte. Oscuramente, gli uomini che governano il mondo lo sanno e, di conseguenza, sanno anche che una convivenza che rispetti la vita può nascere solo da una volontaria limitazione della forza e del potere. Il rischio è, che si entri in automatismi difficili da contrastare, come dimostrano la guerra ucraina e quella che viene combattuta nella terra del Bibbia.
Che cosa possiamo fare noi, di fronte a manifestazioni del male, che sembrano irresistibili?
Scendendo dal monte, Gesù incontra una piccola folla (Mc 9,14ss.). Un uomo gli si accosta e gli chiede aiuto: suo figlio è posseduto da un demonio, che continuamente attenta alla sua vita. Ora è lì, davanti al Maestro di Nazareth e gli presenta il suo bimbo, che fin dalla nascita è oppresso da questa possessione: lo spirito maligno “spesso lo ha buttato anche nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”. Gesù gli disse: “Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede”. Il padre del fanciullo rispose subito ad alta voce: “Credo; aiuta la mia incredulità!”.
Come è bello e vero il grido di quest’uomo! Quanta umiltà nel riconoscere la debolezza della sua fede! Fede e incredulità coesistono, anche in noi, in ogni uomo. Quando Papa Francesco insiste sulla misericordia come criterio nel modo di essere della Chiesa, non si limita a esortare alla benevolenza, ma riconosce che c’è un confine, che solo Dio può valicare: quello dei moti del cuore, dove possono albergare le contraddizioni, che ne fanno un “guazzabuglio”, come lo chiama Manzoni (I Promessi Sposi, cap.10). Guai a chi è sicuro della propria verità e del proprio diritto: è in queste contraddizioni del cuore, in queste fessure dell’anima, che Dio instaura il misterioso dialogo con la sua creatura.
Abramo e Maria sono gli esempi supremi della fede, ma di una fede messa alla prova, quella più alta, il sacrificio del figlio; anche per questo, sono immagine di misericordia. Il povero Lazzaro, disprezzato e ignorato da tutti, viene accolto “nel seno di Abramo” (Lc 16,22). Purtroppo, l’ultima traduzione parla di Abramo e di Lazzaro “accanto a lui”. No, si tratta proprio del grembo, come vediamo nelle immagini di Maria, che con tenerezza regale ha in braccio il suo bimbo, o il suo figlio morto, come nella Pietà di Michelangelo; oppure, come nella Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, che accoglie e protegge sotto il suo manto giusti e peccatori.
Frammenti della luce del Tabor segnano il nostro cammino. La durezza dei nostri tempi non ci impedisca di riconoscerli e di goderne.
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