Nel ciclo eterno di morte e rinascita

Coronavirus in Italy

Viviamo nel secondo anno di pandemia, è in arrivo la primavera, anzi no: è la seconda primavera che perdiamo bloccati in casa con il corpo e con la mente. Primavera è la stagione del risveglio e per paradosso siamo in debito con il lockdown per averci costretti a ricordarlo in veste di reclusi. Avevamo smarrito l’attenzione al ciclo eterno del tempo che passa, persi nelle illusioni dell’efficienza e di un non meglio precisato progresso. Ora scopriamo di essere davvero fragili nelle nostre esistenze appese alla corda del funambolo.

Il contatto ravvicinato con la malattia e con la morte altrui ci porta a fare i conti con la malattia e la morte di noi stessi. Davvero basta così poco per ridurre in cenere affetti, progetti, sogni, obiettivi? In realtà pochissimi tra noi sono autenticamente capaci di essere in grado di affrontare la morte con un minimo margine di serenità. I più non ci pensano, perché pensare alla morte mette paura e può farci impazzire. La fede, le fedi monoteiste propongono soluzioni consolatorie e comunque indefettibili: la vita eterna, la resurrezione del morti, l’inferno e il paradiso. Chi ha fede riceve certamente una forza superiore nell’affrontare le sofferenze della vita.

L’oppio dei popoli crea dipendenza, aveva compreso Marx, ma ne aveva sottovalutato la forza seduttrice. Gli oppiacei accompagnano la parte finale della vita di molti di noi perché permettono di alleviare il dolore. E cos’è la vita, se non un continuo affrontare e svicolare dal dolore e dalla sofferenza? Bisogna attraversare la porta dello spavento supremo, scriveva Manlio Sgalambro in un testo per Battiato. Citava il Libro Tibetano dei Morti, un classico del buddhismo Mahayana divenuto best seller in Occidente nella seconda metà del secolo scorso. D’altronde, la prima Nobile Verità del buddhismo tradizionale afferma proprio la sofferenza come prima certezza dell’essere.

La coltivazione di un vasto campo interiore è la prima risposta praticabile in questi tempi di cattività. La è anche in ragione del divieto al viaggio la cui conseguenza ci ha obbligati a poterci muovere solo come pesci in un acquario. Spostarsi, viaggiare, respirare aria fresca: senza tutto ciò è utile attrezzarsi per guardare un poco dentro se stessi. Per guardare la paura negli occhi e provare se sia possibile accettarla, se non addirittura a farsela amica.

Non c’è niente di più laico che avvicinarsi con mente e cuore aperti verso la dimensione metafisica. L’atto di fede comporta una volontà, ma non per forza è necessario compierlo. Spesso la grazia si accende come ospite inattesa in una lettura, una contemplazione, un amore, una poesia, un’opera d’arte. E qui la nostra esistenza, come fiamma di candela che oscilla al forte vento, si ravviva nella consapevolezza di appartenere a un unico flusso di vita, morte e rinascita, in miliardi di miliardi di forme possibili, attraverso lo spazio e il tempo infinito, sino al confine del nostro pensiero.