Il mondo del lavoro emiliano-romagnolo è stato duramente colpito dall’impatto della pandemia di nuovo coronavirus, tanto da far registrare un aumento della richiesta di sostegno e aiuto da parte di chi si è trovato a far fronte alla perdita del proprio reddito. Una situazione preoccupante emersa anche dalla “Relazione annuale 2020 dell’attività svolta e dei risultati conseguiti dall’Agenzia regionale per il lavoro” dell’Emilia-Romagna, approvata giovedì 25 marzo dalla commissione cultura della Regione.
I numeri parlano chiaro: nel 2020 lungo la via Emilia il tasso di disoccupazione ha toccato quota 5,6% (con evidenti differenze di genere: 4,6% per la componente maschile, 6,8% per quella femminile), anche se la situazione resta comunque migliore rispetto a quella del resto d’Italia, dove il tasso di disoccupazione è risultato pari al 9%.
A preoccupare non è soltanto il gap di genere, con le donne sempre più esposte alle incertezze del mercato del lavoro rispetto agli uomini, ma anche l’aumento delle persone inattive: il 2,3% in Emilia-Romagna, il 2,4% nel resto del comparto produttivo del nord-est, il 2% in Italia.
Proprio sul rischio rappresentato dallo scivolamento verso situazioni di sfilacciamento delle relazioni socio-economiche si sono inserite le attività dell’Agenzia regionale per il lavoro, che ha la mission di ridurre disoccupazione e inoccupazione tramite formazione permanente, potenziamento dei centri per l’impiego, politiche attive, inserimento in contesti produttivi, gestione dell’assegno di ricollocazione.
Nel corso del 2020 sono state 162mila le persone che si sono rivolte a un centro per l’impiego, con gli sportelli regionali che hanno sottoscritto 67.850 patti di collaborazione. Negli stessi dodici mesi sono stati attivati interventi a sostegno di oltre cinquemila persone la cui condizione di lavoro è stata considerata di fragilità sociale.
Poco meno di ventimila emiliano-romagnoli (di cui 5.200 all’interno di Garanzia Giovani e 3.600 nei programmi per persone diversamente abili), inoltre, hanno usufruito delle varie tipologie di sostegni previsti dalle delibere regionali, anche in ottemperanza di norme statali, mentre 19mila cittadini sono stati avviati a percorsi di tirocinio lavorativo: il 36,5% di questi ha trovato un’occupazione nel giro di tre mesi, il 32,8% nel giro di sei mesi e il 39,2% nel giro di un anno.
Una nota dolente, tuttavia, è quella che riguarda la tipologia contrattuale: solo al 5% di questi è stato proposto un contratto a tempo indeterminato, mentre il restante 95% deve fare i conti con contratti a tempo determinato (il 50% del totale dei casi) o con forme di lavoro ancora più precarie e instabili.
Un discorso a parte va fatto per la gestione del Reddito di cittadinanza. Lo scorso anno sono stati presi in carico 23.429 beneficiari, portando così il totale complessivo a quota 36.519: 2.658 persone convocate non si sono presentate (giustificate o ingiustificate: per loro si procederà con una nuova convocazione; 5.747 persone sono state escluse per la presenza di una specifica causa, 3.646 sono state esonerate per la presenza di una causa di esonero. In 3.660 casi, dopo una valutazione di fragilità e vulnerabilità, il beneficiario è stato segnalato ai servizi compenti per la sottoscrizione del Patto per l’inclusione. In 10.560 casi è intervenuta una notifica di decadenza, 6.429 persone hanno sottoscritto un Patto per il lavoro che risulta attivo. Nel corso del 2020, inoltre, sono stati comunicati all’Inps 2.460 eventi di condizionalità.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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