Tutto inizia nel luglio 1912, quando a Reggio Emilia si svolge, presso il Teatro Ariosto, il XIII congresso del Partito Socialista Italiano. Il giovane rivoluzionario Benito Mussolini, delegato della sezione di Forlì, presenta, ottenendo la maggioranza dei consensi, l’ordine del giorno d’espulsione dal partito dei cosiddetti “destri” di Bissolati, Bonomi e Cabrini, rei d’essersi recati dal re per le consultazioni del nuovo governo e d’aver appoggiato la guerra libica.
Il tentativo di mediazione operato fino all’ultimo da Turati, Treves e Prampolini d’evitare la scissione non ha successo e Mussolini si ritrova praticamente a capo del partito, anche se alla segreteria viene eletto il massimalista Giacinto Menotti Serrati. Treves è il più attivo in questo disperato tentativo. Conosce molto bene Bissolati e, pur non condividendo le sue scelte, non può considerarlo un traditore. Mussolini se ne ricorderà per sempre.
Alla direzione dell’Avanti! a Treves subentra, almeno provvisoriamente, il massimalista Giovanni Bacci. Dopo appena tre mesi, infatti, Bacci si dimette a favore di Mussolini, che non ha mai nascosto di puntare alla guida del giornale. Da quella posizione è convinto di poter guidare tutto il partito e di condizionare, di conseguenza, la politica italiana.
Turati e Treves
Espulsi i “destri”, l’ostacolo maggiore alla sua definitiva affermazione è rappresentato dai riformisti di Turati, Treves, Prampolini e Modigliani. Sono loro che ora vanno politicamente sconfitti e se possibile cacciati. Il radicamento popolare di cui godono in tanti comuni e nelle sezioni periferiche del partito, la loro dirittura morale, la considerazione guadagnata in ambito parlamentare e le tante realizzazioni sociali da loro sostenute (case popolari, farmacie comunali, cooperative, leghe, sindacati, bonifiche, lotta alla disoccupazione, ferrovie ecc.), ne fanno l’ostacolo più difficile da sconfiggere.
Sotto la direzione di Mussolini, l’Avanti! non risparmia critiche alla loro presunta arrendevolezza alle logiche parlamentari, alla loro propensione al compromesso con il governo e con Giolitti in particolare. Il direttore denuncia come ambigua e non rivoluzionaria la loro condotta politica e cerca in tutti i modi di ridurre la loro collaborazione al giornale. Mussolini è determinato a cancellare il lascito ideale e politico di Bissolati, di Treves e di Turati e a fare del giornale la voce dei veri rivoluzionari. Capisce che per raggiungere lo scopo deve liberarsi il prima possibile di Treves, la cui eredità culturale e umana pesa ancora come un macigno nella redazione e tra i tipografi.
Agli inizi del 1914 prende carta e penna e compie il passo decisivo. Mussolini vuole avere campo libero e non rendere più conto a nessuno. Lui è il direttore e il giornale deve rappresentare solo il suo pensiero politico. La lettera che invia a Treves è in realtà il primo atto d’un progressivo allontanamento dalle fila socialiste.
“Caro Treves, coll’avvenuto rimpasto redazionale la tua assidua collaborazione- graditissima sempre- non è più necessaria come per il passato.
Onde il bisogno di ridurla anche per alleviare il budget del giornale io non ti fisso- che sarebbe antipatico- i limiti e i generi della collaborazione. Puoi scrivere qualche articolo di politica e continuare le tue apprezzatissime Note Libere. Il compenso mensile verrebbe ridotto a 250 lire. Ho appena bisogno di dirti che tale decisione è stata presa di comune accordo con Bertini, Ratti, Bacci. Ti prego di darmi sollecitamente una risposta scritta onde saperci regolare.
Ti stringo la mano.
Tuo Benito Mussolini”
Treves ovviamente non risponde alla provocazione. Il messaggio è chiarissimo: L’Avanti! non più casa tua. Il giornale ora risponde solo al suo direttore, che si chiama Mussolini.
Con il passare del tempo le critiche e gli attacchi politici ai riformisti si fanno sempre più numerose e feroci. Poi gli avvenimenti precipitano. Mussolini con l’articolo del 18 ottobre 1914 intitolato “Dalla neutralità assoluta, alla neutralità attiva e operante”, prende posizione a favore dell’ingresso dell’Italia nel Primo conflitto mondiale e nel mese di novembre 1914 viene espulso dal partito. E’ la rivincita di Treves, ma soprattutto rappresenta la delusione e la condanna degli stessi massimalisti, che lo avevano sostenuto e avevano scommesso su di lui.
Mussolini, che già da qualche tempo tratta con emissari francesi, non si fa trovare impreparato e dopo pochi giorni riemerge a capo di un altro giornale, formalmente ancora socialista: Il Popolo d’Italia. Giornale nuovo, obiettivo vecchio.
Il 19 marzo 1915 Mussolini pubblica un articolo dal titolo “Palanca greca”, in cui attacca personalmente la sfera privata e morale di Treves. Ne seguiranno altri due: il 24 marzo e il 28 marzo. La risposta di Treves appare sull’ Avanti! il 27 marzo 1915. Mussolini, nell’articolo del 19 marzo, così lo descrive: “tra tutti i neutralisti del socialismo ufficiale lazzaronico è il più ripulsivo. Lo è per il suo cinismo, per il suo scetticismo da snob e perché è ormai pacifico che neutralismo e dote sono nella coscienza del debellisiano deputato di Bologna una equazione”.
Il neo direttore de Il Popolo d’Italia con quell’articolo intende denunciare il fatto che Treves, sposando una ricca donna veneziana, abbia sacrificato gli ideali del socialismo sull’altare del Dio denaro. Nel 1907 Treves aveva in realtà sposato con una ricca e fastosa cerimonia a Ca’ Farsetti a Venezia, Olga Levi, figlia di Giacomo Levi, direttore delle Assicurazioni Generali di Venezia. Era stato Alessandro, il fratello minore e socialista di Olga, a presentare la sorella a Treves. Ora, anche se Treves vive esclusivamente del suo lavoro d’avvocato, per Mussolini, la ricchezza della famiglia Levi pesa come una colpa sulla testa di Treves e, per il bene della causa socialista, va denunciata pubblicamente. Treves cade nella provocazione e la sua reazione è estrema.
Pur sapendo che il partito ha condannato i duelli per risolvere i problemi politici o personali, sfida a duello il suo accusatore e manda i padrini: il dott. Giovanni Allevi e il redattore dell’Avanti! Angelo Lanza. Mussolini accetta la sfida e delega a rappresentarlo nell’incontro per definire le regole del combattimento Giuseppe De Falco (redattore capo de Il Popolo d’Italia) e Manlio Morgagni.
Le due delegazioni convengono che il duello alla sciabola avvenga il 29 marzo senza esclusione di colpi. Il luogo scelto è una villa disabitata alla Bicocca di Milano. Il primo ad arrivare, accompagnato dal dott. Armando Risi, è Mussolini. Dopo quindici minuti arriva anche Treves con il professore Ambrogio Binda e il dott. Pozzi. Presiede lo scontro il ragioniere Leonardo Pracchi.
Si fecero otto assalti, dopodiché lo scontro fu sospeso per concorde giudizio dei medici. L’onorevole Treves riportò una ferita alla bozza frontale destra con ematoma, una ferita al cavo ascellare destro, una ferita all’avambraccio, parecchie piattonate alla regione deltoide. Il professor Mussolini riportò una abrasione all’avambraccio destro, piattonate, una ferita interessante il padiglione dell’orecchio destro.
Al terzo assalto furono cambiate le sciabole, essendosene contorta una per la furia dell’assalto.
I duellanti si separarono senza conciliazione dopo 25 minuti d’assalto”.
Il primo a lasciare la villa è Treves. Mussolini, prima d’allontanarsi, vuole prima leggere il verbale redatto dai padrini.
Mentre l’Avanti! Non lesina la sua disapprovazione sul duello, che giudica una forma vecchia ed inutile di dirimere le controversie politiche e personali, Emanuele Modigliani invia all’amico Treves questo telegramma: “Ti disapprovo, ti imiterei, ti abbraccio”.
I due sfidanti non s’incontreranno più.
Uno morirà in esilio a Parigi in un modesto alberghetto del quartiere Latino nel 1933. Le sue ceneri saranno accompagnate al cimitero da tutti gli antifascisti presenti nella capitale francese, l’altro sarà fucilato e impiccato a Milano in piazzale Loreto, circondato dall’odio di tutti gli italiani.
Solo il 10 ottobre 1948 le ceneri di Treves saranno riportate in Italia e tumulate accanto a quelle di Turati nel cimitero Monumentale di Milano. Un’imponente manifestazione di popolo assisterà silenziosa alla cerimonia.
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