«In fondo “l’asse Roma-Berlino”, la formula verbale coniata quasi a sorpresa da Mussolini nel discorso di Milano del novembre millenovecentotrentasei, trascina le nazioni, i popoli, le vite presenti e future in una travolgente vertigine retorica, ma si tratta, tuttavia, soltanto di una parola». Una formula verbale terribile, “asse Roma-Berlino”, la Berlino di Hitler, che al solo evocarla “spara” brividi sinistri lungo la schiena. Ma non fu solo una formula verbale.
Scurati, con una scrittura avvolgente, ci trascina ora con passo rallentato, ora con improvvise accelerazioni verso la catastrofe dell’Europa, annunciata a passi geometrici dalla politica hitleriana vista attraverso gli occhi dell’Italia fascista, di Mussolini e del “genero del Regime”, Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri: marzo 1938, Anschluss dell’Austria; gennaio 1939, cade Barcellona; marzo 1939, invasione della Cecoslovacchia; agosto 1939, patto Molotov-von Ribbentrop; settembre 1939, attacco alla Polonia; aprile 1940, attacco alla Danimarca e alla Norvegia; maggio 1940, blitzkrieg ai danni della Francia. L’“Italietta” imperiale, nel frattempo, conquista l’Albania (aprile 1939).
E, alla fine, l’Italia dentro la guerra europea e mondiale: 10 giugno 1940. Qui si ferma il terzo volume di “M”.
Nel settembre 1938, si era svolta la conferenza di Monaco per salvare la pace in Europa. Al tavolo: Regno Unito e Francia, da una parte, e Germania nazista, dall’altra. Gran cerimoniere, salutato al termine della conferenza come il salvatore della pace, Benito Mussolini. All’indomani dell’accordo, Winston Churchill, invece, lapidariamente sentenziò: “Potevano scegliere fra il disonore e la guerra: hanno scelto il disonore e avranno la guerra”. E così fu.
L’asse Roma-Berlino si concretizza ancora di più quando, all’inizio del 1938, Mussolini inizia la campagna discriminatoria antiebraica. Scurati la ripercorre raccontando la vita dell’avvocato e podestà ferrarese Renzo Ravenna, di quella dell’editore modenese Angelo Fortunato Formiggini, morto suicida, e del destino di Margherita Sarfatti: «rinomata musa del fascismo rivoluzionario ed eroico, amante e mentore di Benito Mussolini fin da prima della Grande Guerra, è oggi costretta ad acconciarsi i capelli da sola, ad allacciarsi da sola gli stivaletti…».
Come sonnambuli Mussolini, il duce d’Italia, e Galeazzo Ciano, marito di Edda figlia di Benito, in quei due anni di tempo sospeso sull’abisso agiscono su più tavoli con l’illusione di aver addomesticato il potente alleato e tranquillizzato, a proprio vantaggio, le democrazie europee. I due dittatori si scambiano parate omaggianti, dispacci, lettere. Inviano i loro rispettivi ministri degli Esteri per definire accordi e programmi della guerra che verrà. Mussolini ha bisogno di anni perché l’Italia sia pronta, la Germania lo è già.
Scurati, in densi capitoli ma allo stesso tempo scorrevoli, entra sia nella vita del conte di Cortellazzo (Ciano) mostrandone l’ambizione, le debolezze e i vizi, sia in quella del figlio del Fabbro (Mussolini) che alla vita pubblica e politica inframmezza il buen retiro di Rocca delle Caminate (FO) o l’amore della nuova giovane amante, Clara Petacci.
Il tempo storico rovina giorno dopo giorno verso gli “ultimi giorni dell’Europa” e si inerpica su su, il 12 agosto 1939, fino al “Nido dell’Aquila”, in Austria, dove Hitler di fronte a Galeazzo Ciano, che «ha affrontato l’alleato con accortezza ed energia … eseguendo punto per punto le direttive impartitegli da Mussolini: la guerra sarebbe una “follia”, Inghilterra e Francia soccorrerebbero la Polonia scatenando il conflitto europeo, forse mondiale; l’Italia e totalmente impreparata a sostenerlo», non recede di un passo dai sui piani: «i mastini della guerra sono sguinzagliati». Pochi giorni dopo il patto con l’URSS di Stalin che spartisce la Polonia fra le due dittature. Il primo settembre si scatena l’inferno. l’Europa tace. E Mussolini? «Lo sa un uomo – scrive l’autore – quando la sua epoca di splendore è finita? Lo capisce? Lo sa, ma non lo capisce. Il morire della luce è un’esperienza tanto universale quanto incomprensibile, letteralmente incomprensibile».
E pensare che solo un anno e mezzo prima tutto questo si sarebbe, forse, potuto fermare: «Li uccido e salvo milioni di vite oppure non li uccido e salvo la mia?». Sono i pensieri tormentati del professore Ranuccio Bianchi Bandinelli – in apertura del romanzo – del 3 maggio del 1938, fermo alla stazione Ostiense in attesa dell’arrivo del dittatore tedesco. Alcuni giorni dopo, il professore, ordinario di Storia dell’arte all’Università di Pisa – «antifascista generico per sua stessa definizione» – avrebbe «vestito i panni dell’anfitrione per accompagnare Adolf Hitler e Benito Mussolini in visita alla mostra augustea della romanità» e successivamente a Firenze. Quando toglierà i panni dell’anfitrione, Bianchi Bandinelli annota nel suo diario: «il dittatore tedesco ama davvero le opere d’arte. Solo che lo fa per ragioni sbagliate»…
Quando uno storico si trova tra le mani un romanzo che racconta la storia in modo popolare e divulgativo, e con questa qualità – intercalando fra i capitoli documenti attentamente scelti che aggiungono e non tolgono ritmo alla narrazione – non può che rallegrarsene.
La storia «mi piace – scriveva Antonio Gramsci in una lettera al figlio Delio – perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono fra loro in società e lavorano e lottano e migliorano sé stessi, non può non piacerti più di ogni altra cosa». Anche quando la storia ha le ali nere della morte.
Buona lettura.
(Antonio Scurati, M. Gli ultimi giorni dell’Europa, Bompiani, 2022, pp. 425, 24 euro, recensione di Glauco Bertani).
Si ringrazia la Libreria del Teatro, via Crispi 6, Reggio Emilia.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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