La guerra continua. Questa domenica, nelle chiese si legge una parola di Gesù che sembra tragicamente inattuale: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai. Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9,37s.). Normalmente, si fa riferimento a questa parola, per invocare nuove vocazioni sacerdotali. Ci si dovrebbe però interrogare che cosa intenda Gesù per questa messe abbondante e quali debbano essere le caratteristiche e le funzioni di questi operai.
Alla prima domanda risponde lo stesso vangelo: “Gesù, vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore”. L’immagine mi sembra corrispondere a quel che viviamo oggi: il disorientamento sta crescendo e forse gli uomini di Chiesa, tranne Francesco, non sembrano in grado di dare un indirizzo, un pensiero che conforti. Alcuni si schierano per una delle parti in conflitto; la maggioranza tace. Io stesso mi trovo nel dubbio: come negare all’Ucraina il diritto di difendersi dall’aggressione?
D’altra parte, l’operaio di Dio è precisamente colui che annuncia la pace, con la parola e l’agire concreto. Questa è la sua missione, confermata dal Risorto: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, io mando voi … A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati …” (Gv 20,21-23).
Ho chiesto aiuto alla storia. Questa guerra assomiglia sempre di più alla Prima Guerra Mondiale, a cominciare dalle caratteristiche dei combattimenti, sempre più guerra di trincea, quindi con un alto numero di morti e, cosa che si trascura, di feriti gravi e mutilati. Ho provato allora a interrogare una persona, che fu una delle poche voci profetiche di allora, il papa Benedetto XV. E’ di grande aiuto leggere i suoi interventi: il più famoso è la “Lettera ai Capi delle Nazioni belligeranti”, del Primo agosto 1917. Osservate la data. Era il terzo anniversario dell’inizio della guerra, che sarebbe durata ancora fino al novembre 1918. Il conflitto era in stallo; se fosse finito in quella data, non ci sarebbero stati la Rivoluzione d’Ottobre e Caporetto, e forse neanche i fascismi. Il Papa era stato un grande diplomatico e, nella Lettera, proponeva misure concrete, dal disarmo alla libera navigazione, dai danni di guerra alla “reciproca restituzione dei territori attualmente occupati”. Il suo appello non fu ascoltato, soprattutto per una ragione: non venne accolta la sua richiesta di un tregua immediata. L’argomento fu quello che viene avanzato anche oggi: la Schuldfrage, l’attribuzione della responsabilità storica, politica e morale del conflitto. Si dice che una tregua sarebbe come mettere sullo stesso piano aggressore e aggredito. Non si tiene conto, però, che, più passa il tempo, più la guerra travolge le capacità di controllo dei protagonisti; essa diviene un incendio, che si estingue solo quando non c’è più nulla da bruciare.
Orrore nell’orrore, bruciano anche le coscienze. Il generale Cadorna, comandante in capo dell’esercito italiano, riteneva che l’appello “pacifista” di Benedetto avesse contribuito alla disfatta di Caporetto, minando il morale dei soldati. Anche oggi la guerra viene “santificata”: all’inizio, da parte russa (ricordiamo le parole del Patriarca Kirill), ma oggi da tutti, perché, si dice, solo la vittoria militare potrà portare alla pace. Sembra che nessuno voglia invocare una tregua, per non essere accusati di disfattismo e di resa all’ingiusto aggressore. Essere “operai nella messe”, portare un messaggio di pace, porta con sé almeno l’incomprensione; il prezzo, prolungandosi le operazioni militari, aumenterà e aumenterà lo scoramento e la rassegnazione alle logiche del mondo. Con quali conseguenze per la Chiesa, lo vedremo la prossima volta. Oggi, apriamo la mente e il cuore alla parola di Gesù: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9).
Per qualche coglione era sufficiente spegnere il condizionatore.