Le guerre, un mostruoso tritacarne

Don Giuseppe Dossetti -1

“Pastori di popoli”: con questo titolo vengono chiamati i re degli Achei nell’Iliade. L’immagine è universale e la troviamo anche nella Bibbia: essa indica un rapporto di protezione e di cura, che ci dovrebbe essere tra chi ha autorità e i suoi sudditi. Di fatto, questo avviene molto di rado e i profeti hanno parole durissime nei confronti dei pastori “che pascono se stessi” (Ezechiele 34,2), che cioè sfruttano e violentano i sudditi. Il Dio di Israele si indigna nei confronti di questi falsi pastori e annunzia che non delegherà più la cura delle pecore, ma che l’assumerà in prima persona.

Gesù riprende questa dura critica: “Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti” (Gv 10,8) e si propone come colui che adempie la profezia, presentandosi come il “pastore buono” (Gv 10,1-18). La differenza sta nel fatto che il buon pastore è disposto a dare la vita per le sue pecorelle, mentre gli altri pretesi pastori hanno un rapporto mercenario e pensano ai propri interessi. Aveva detto infatti: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e  chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”(Mt20,25ss).

Non si può trarre spunto da queste parole di Gesù per rifiutare l’autorità. Molti testi del Nuovo Testamento uniscono alla critica severa l’esortazione all’obbedienza alle leggi. Ma lo scandalo rimane, di fronte alla leggerezza o insensibilità con le quali vengono sacrificate tante vite umane. Lo scandalo diviene ancora maggiore, quando i governanti sacrificano le vite altrui per i propri interessi.

Di fronte al tritacarne mostruoso delle guerre odierne, come comportarsi?

Come esercitare l’autorità, grande i piccola, che ci è stata attribuita? La vita famigliare, il nostro lavoro, i rapporti sociali, tutti comportano l’esercizio di un’autorità e ci interrogano sul nostro modo di essere pastori.

Penso che il primo passo stia nel riconoscere, tutti quanti, che, qualunque sia l’autorità che esercitiamo, prima di essere pastori dobbiamo essere pecore, cioè ascoltare la voce del pastore divino. Essa, prima di farci delle richieste, ci dice parole di consolazione. Infatti, è di questo che abbiamo bisogno prima di tutto. Abbiamo bisogno di sentirci dire che l’amore vince, che la pace è possibile, che ogni ferita può essere sanata. La parola definitiva, che dà verità e peso a tutte le altre, è quella pronunziata dal Pastore buono: “Io do la mia vita per le pecore” (Gv 10,15).

Non rassegniamoci a pensare che la tenerezza sia un romantico lusso, che solo gli ingenui possono permettersi. Ancora una volta, ascoltiamo la voce del buon Pastore: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita” (Mt 11,28s).

Quando il profeta, verso l’anno 530 a. C., annuncia il ritorno in patria agli israeliti, deportati a Babilonia settant’anni prima, immagina un corteo trionfale, guidato da un irresistibile gigante, al quale nulla può opporsi, neppure le montagne, neppure il deserto. Tuttavia, l’eroe divino può essere rallentato, nella sua marcia: “Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri”(Isaia 40,10s.). Dio ha compassione della debolezza delle sue pecorelle: se proprio non ce la facciamo, ci prende in braccio, vicino al suo cuore. Egli ci da l’esempio di una pazienza perseverante, che non è debolezza, bensì, ancora una volta, la fiducia nella vittoria dell’amore.




C'è 1 Commento

Partecipa anche tu
  1. confuso

    Eppure i sigg.ri draghi e meloni, ultimi due premier in carica nel nostro paese, nostro si fa per dire, vanno dicendo da più di due anni che la guerra con la russia và combattuta sul campo, dagli altri ovviamente, e vinta senza che sia contemplata possibilità alcuna di altra risoluzione… possibile che almeno durante le Messe di Natale e Pasqua il dubbio non sfiori mai questi personaggi?
    Io vado a Messa soltanto a Natale e Pasqua e , al contrario di loro, sono pieno di dubbi?!


I commenti sono chiusi.