Le europee, un voto che può risvegliare la democrazia

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di Luigi Bottazzi

 

Come tutti sanno viviamo in una fase di grandi cambiamenti sociali, frutto di un profondo mutamento della realtà in cui viviamo, rispetto a consuetudini, strutture, mentalità e sistemi che per decenni avevano modellato la nostra vita comunitaria.

Proprio la sensazione della difficoltà di immaginare un futuro in cui siano garantite le aspettative dei cittadini su lavoro, sanità pubblica, istruzione, previdenza e tutele contro la povertà – in ultima analisi, la rimozione delle barriere sociali di cui parla l’Art. 3 della Costituzione – è alla base della stanchezza e della disaffezione dei cittadini verso le istituzioni democratiche ben evidenziata dal calo sistematico della partecipazione al voto a tutti livelli. A questo si aggiunge una sorta di disillusione per una pratica politica che ha sensibilmente ridotto quelle forme di coinvolgimento dei cittadini che sostanziano il principio della diffusione del potere. Storicamente, le aspettative dell’opinione pubblica in ordine alla democrazia non sono state legate unicamente alla garanzia della libertà di voto, di pensiero e di parola.

Cruciale è stata anche la possibilità di una crescita economica e sociale che garantisse maggiori opportunità e migliori condizioni di vita. Il ristagno della crescita economica, il percepito aumento delle disuguaglianze, i ripetuti choc economici e sociali (la grande crisi del 2008 mai riassorbita,la crisi pandemica, la guerra in Ucraina, la crisi medio-orientale, ecc.) hanno alimentato un diffuso malessere che porta molti a considerare non mantenute le promesse della democrazia, arrivando in alcuni casi a svilirle rispetto alle supposte migliori performance di Stati apertamente illiberali.

Il mantenimento delle promesse democratiche grava in primo luogo sui partiti, tutti i partiti, nessuno escluso, cui spetta il compito di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”(art.49 Cost).

Se per metodo democratico s’intende il rispetto delle leggi che tutelano la libertà del voto e i diritti delle maggioranze e delle minoranze, si può ben dire che questo nell’Italia repubblicana è sempre stato sostanzialmente garantito. Tuttavia, spesso la dialettica e il modello organizzativo interno ai singoli partiti, per non dire la trasparenza dei loro meccanismi decisionali, a partire dalla stesura delle liste elettorali, e delle loro fonti di approvvigionamento non hanno pienamente corrisposto a quei dettami di democraticità fissati dalla Costituzione.

Se durante la fase costituente pesava il timore che una legislazione organica sullo statuto pubblico dei partiti avesse potuto rappresentare un rischio per la dialettica democratica, adesso tale questione appare meno rilevante, a maggior ragione se vi fosse una sostanziale convergenza sugli aspetti fondamentali della questione (trasparenza di adesione e diritti conseguenti, salvaguardia della formazione delle decisioni interne con metodo democratico, definizione delle forme lecite -anche pubbliche- di finanziamento, ecc.).

E’ dunque giunto il momento per ragionare seriamente su di una legislazione che finalmente precisi le questioni sopra ricordate, definisca norme vincolanti e permetta ai partiti politici di tornare ad essere un valido strumento di partecipazione.

Intanto, in queste elezioni europee, ricordiamoci che abbiamo a disposizione un importante strumento di scelta che è quello delle preferenze, da dare a chi veramente vorrà fare il parlamentare europeo e non il capo di un partito qualsiasi.
Ricordiamoci che Alcide De Gasperi, nella fase finale della sua esperienza politica, da presidente del Consiglio, ebbe la lungimiranza di segnalare il pericolo “della unione delle forze per la demolizione che rende impossibile l’unione per la ricostruzione”.

Anche oggi per l’Europa di domani non dobbiamo dimenticare il suo richiamo.

(ex consigliere regionale Ppi)

 



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