Non è un 8 marzo di festa, piuttosto inedito quanto drammatico.
La guerra è qui, in questa nostra Europa. Le guerre lontane, di cui eravamo solo testimoni distanti, è diventata una guerra vicinissima.
Il nostro pensiero va a coloro che sono da sempre le prime vittime di questa aggressione violenta al popolo ucraino: le donne, i bambini, gli anziani.
A tutte quelle ucraine che abbiamo visto in questi giorni dalle terribili immagini che ci arrivano. Nei loro occhi attoniti cogliamo un sentimento come se quello che sta accadendo fosse incomprensibile, lontano dalla quotidianità, da tutto ciò che le donne fanno ogni giorno a tutte le latitudini: portare i figli a scuola, andare di corsa a al lavoro, fare la spesa, accudire, prendersi cura degli altri.
Le vediamo, invece, cercare di mettere in salvo i figli, attraversare ponti distrutti con passeggini, farli giocare nelle metropolitane, o salutarli mentre imbracciano un fucile o fanno una molotov nel tentativo di resistere. E dall’altro vediamo donne russe manifestare contro la guerra di Putin che non vogliono, portate via brutalmente e arrestate, o madri che cercano disperatamente i propri figli, soldati adolescenti mandati come carne da macello al fronte. E poi ci sono le donne sole, in fuga dall’Ucraina, vittime di ogni violenza e stupro.
Questo 8 marzo lo vogliamo condividere con tutte le donne che stanno fronteggiando una situazione terribile e lottano per cercare una soluzione di pace per il loro domani. Anche noi le incontreremo in questi giorni, per ascoltare le loro testimonianze i loro vissuti di paura e di violenza, per far sentire la nostra solidarietà nella speranza condivisa che questo orrore possa finire.
Perché la loro storia è la nostra storia
Il nostro impegno, qui e ora, è di sostenere con ogni azione possibile la solidarietà e gli aiuti alla popolazione Ucraina, nell’accogliere i milioni di profughi che stanno arrivando e arriveranno.
Dall’altra vogliamo ribadire con forza che non ci rassegniamo a questo “male”, a questa logica della violenza, del sopruso, della distruzione che tutto ingloba. Che “spezza la parola, la frantuma “.
Che parli invece, ogni tentativo di diplomazia, si apra al più presto ogni possibile varco per fermare questo conflitto.
La forza delle parole per chiedere la pace. Noi ci siamo: nell’aiutare, nell’ascoltare, nell’accogliere. Perché vogliamo continuare a credere che un nuovo linguaggio è possibile, che è necessario continuare a battersi per un nuovo modo di convivere con gli altri e con il pianeta.
La cura di “questo bellissimo, meraviglioso mondo”
(Antonella Incerti e Vanna Iori per la Conferenza delle Donne Democratiche di Reggio Emilia)
Ultimi commenti
ma come ? ma se fino all'altro ieri era solo una PERCEZIONE e non un reale problema di sicurezza e degrado !? REGGIO SVEGLIA!!!!!!!!!!! e se […]
Condivido pienamente la risposta di Roberto Salati. Le cose più serie ... forse, si riferiva allo sportello antirazzista!!!
Auguro vivamente al minorenne maghrebino , nel proseguio della sua "professione" di incappare prima o poi in un qualche incidente di percorso...come si dice...il rischio