Le cause del fascismo secondo Zibordi

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Giovanni Zibordi (nella foto con Camillo Prampolini), direttore de La Giustizia quotidiana dal 1904 al 1921, collaboratore e amico di Camillo Prampolini insieme al quale incarnò l’anima riformista del Psi, a partire dal 1920 incentrò i suoi studi sull’analisi delle radici storiche e sociali del fenomeno fascista. Lo fece, oltre che da politico, da professore ed ex allievo di G. Carducci, di lettere e storia, più portato quindi a compiere valutazioni ampie e generali che a fatti contingenti, legati all’attualità.
Le sue riflessioni occuparono grande spazio sulla rivista turatiana Critica Sociale e in diversi saggi il più noto dei quali fu Critica socialista del fascismo del 1922. Il suo lavoro e le sue conclusioni furono oggetto di un importante dibattito nel gruppo dirigente del partito.

Zibordi individuò alcune cause che a suo avviso sarebbero state all’origine della tempesta politica che allora l’Italia e gli italiani stavano subendo.
In estrema sintesi tre furono i principali motivi da lui individuati: 1) la mancanza della formazione di una “vera borghesia; 2) il grande trauma della Prima guerra mondiale; 3) la pace che seguì il conflitto che esacerbò le contraddizioni politiche.
Per quanto riguarda il primo motivo, Zibordi era convinto che l’Italia postrisorgimentale non aveva avuto modo e tempo di strutturarsi, dovendo affrontare nello stesso tempo la questione nazionale e quella sociale.

Il risultato fu l’arroccamento su sé stessa e l’incapacità di sviluppare una dialettica interna, distinguendo le posizioni della borghesia agraria da quella industriale, di quella conservatrice da quella liberale.

La guerra mondiale, e qui siamo al secondo motivo, aveva inevitabilmente educato una intera generazione alla violenza, aveva messo in crisi l’internazionalismo socialista, evidenziandone l’incoerenza e l’impotenza nel fermare il massacro, accentuato la crisi economica, provocato lutti e disperazione. La cultura di trincea fatta da sentimenti d’odio e di vendetta aveva contagiato anche i giovani di sinistra.


La vittoria finale aveva illuso migliaia di reduci di essere ricompensati con il lavoro e l’attribuzione delle terre come promesso alla loro partenza per il fronte. In realtà si ritrovavano essere dei disperati che vagavano alla ricerca di qualche sussidio.
Infine il terzo motivo riguardava il periodo di pace, che non servì ad altro che esacerbare gli animi, estremizzare le diverse posizioni politiche, dividere ulteriormente il socialismo italiano, spaventare la borghesia e i ceti medi.

Gli scioperi a catena nelle industrie e nelle campagne, l’occupazione delle fabbriche, il voler “fare come in Russia”, la convinzione dell’imminenza della rivoluzione, che in realtà non era nemmeno all’orizzonte, l’esaltazione rivoluzionaria delle frange estreme del partito, dei sindacalisti rivoluzionari e degli anarchici, finirono per spaventare non solo gli agrari e gli industriali ma anche i ceti medi dei commercianti, dei mezzadri e degli artigiani, che temettero di essere espropriati dei loro beni, frutto di tanti sacrifici.

La scissione comunista del 1921 e quella dei riformisti nel 1922 indebolirono infine non solo il partito socialista ma tutta l’opposizione, che si rivelò incapace d’arginare l’avanzata fascista.
Convinto che l’astensione dai lavori parlamentari (Aventino) decisa in seguito all’assassinio di Matteotti, fosse la scelta migliore per sconfiggere il fascismo, Zibordi manifestò per l’ultima volta la sua speranza di poter tornare finalmente ad uno stato di legalità parlamentare.

Purtroppo la storia d’Italia non imboccò quella direzione e Zibordi morì prima che il fascismo crollasse nel 1943.

 

 

 

 




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