I militari del comando provinciale della Guardia di finanza di Bologna hanno arrestato quattro imprenditori di nazionalità cinese che si avvalevano di prestanome per la gestione “di fatto” di almeno otto tra ditte individuali e società nel settore tessile. Non solo: imponevano ai propri dipendenti turni di lavoro effettivi anche superiori alle 14 ore al giorno per sette giorni a settimana, senza alcun giorno di riposo, con compensi molto inferiori ai parametri previsti dal contratto collettivo nazionale di categoria.
Le Fiamme gialle hanno sequestrato quattro opifici situati a Bentivoglio, a Granarolo dell’Emilia e a Rovigo, i macchinari e gli automezzi per la lavorazione e il trasporto della merce, oltre a somme di denaro, titoli, auto di lusso (Porsche, Audi e Bmw) e una villa con piscina nella disponibilità delle persone arrestate, per un valore complessivo di oltre 5 milioni di euro.
Nell’indagine sono stati coinvolti anche i responsabili della produzione di un noto marchio del pronto moda “made in Italy” con sede nella bassa bolognese, destinatari del divieto di esercitare attività imprenditoriali o di assumere uffici direttivi di imprese operanti nel settore dell’abbigliamento. La stessa azienda bolognese, che aveva affidato ingenti commesse agli imprenditori arrestati, è stata oggetto di sequestri preventivi per ulteriori 5 milioni di euro.
Le attività investigative hanno permesso di svelare il ruolo di spicco di una donna di nazionalità cinese, titolare di una ditta individuale ma, nel tempo, amministratrice di fatto di almeno altre cinque attività commerciali intestate a connazionali, risultati di fatto irreperibili. L’operatività delle singole aziende non andava oltre una durata media di uno o due anni (le cosiddette “imprese apri-e-chiudi”), ma ciascuna di quelle succedutesi nel tempo utilizzava sempre gli stessi capannoni e gli stessi macchinari, ricorrendo alle prestazioni professionali dei medesimi commercialisti e omettendo il versamento delle imposte e dei contributi previdenziali e assistenziali.
Gli approfondimenti eseguiti dai finanzieri del secondo Nucleo operativo metropolitano di Bologna hanno anche consentito di scoprire l’esistenza di annunci di lavoro in lingua cinese, pubblicati online dalla stessa donna titolare della ditta individuale: quest’ultima, contattata telefonicamente, preannunciava un orario lavorativo di 14 ore al giorno, garantendo anche il pernottamento presso il luogo di lavoro.
Una volta ricostruita l’intera rete di contatti tra la donna e altri imprenditori di nazionalità cinese, oltre che con i responsabili di produzione del marchio bolognese che aveva affidato loro le commesse, sono emerse le reiterate violazioni della normativa sull’orario di lavoro, la “sottomissione” di fatto dei dipendenti (perlopiù di nazionalità cinesi) e le condizioni lavorative degradanti o precarie, anche sotto l’aspetto igienico-sanitario e della sicurezza.
All’interno dei capannoni industriali erano state allestite delle “celle” adibite a dormitorio, con parti comuni destinate a refettorio e servizi igienici di fortuna. I militari delle Fiamme gialle hanno inoltre monitorato gli accessi ispettivi condotti dalle polizie locali, dall’ispettorato del lavoro e dalle Asl territoriali in alcuni degli opifici interessati, che hanno portato alla scoperta di 16 persone entrate in modo irregolare sul territorio italiano. Una situazione di vero e proprio sfruttamento che si è tradotta in guadagni illeciti per gli imprenditori arrestati e per l’impresa committente, che ha potuto beneficiare in questo modo di bassi costi di approvvigionamento della merce.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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