Nato nelle intenzioni per unire il meglio delle tradizioni riformiste italiane, il Partito Democratico si trova oggi a negoziare con l’alleato di governo il voto favorevole a un referendum che taglia la rappresentanza parlamentare di un terzo: alla Camera da 630 a 400 deputati, al Senato da 315 a 200 senatori.
I tratti anticostituzionali e antiparlamentari della misura, figlia del più basso populismo brandito dal Movimento 5 Stelle come aggressione alla cosiddetta “Casta”, a occhio attento sono lampanti e contengono un potenziale eversivo di cui pochi sembrano rendersi conto nello stesso Pd.
L’argomento del risparmio per le casse statali propugnato da Di Maio che deriverebbe dalla drastica diminuzione dei parlamentari mette in luce la brutale semplificazione antidemocratica che sottende alla politica dei grillini (o post-grillini). È, come molte altre, una sostanziale opera di mistificazione che vellica il basso ventre dell’odio anti politico – quasi che i 5Stelle non fossero oggi parte integrante del sistema – e mira ad annullare le basi fondamentali del gioco democratico, ossia la partecipazione più vasta possibile all’esistenza di una solida repubblica parlamentare come fu voluta dai padri costituenti all’uscita dal fascismo e dalle tragedie della Seconda Guerra Mondiale.
Il colpo definitivo alla repubblica parlamentare si profila poi con una legge elettorale (l’ennesima) che fissa al 5% dei voti il quorum per qualsiasi forza politica intenzionata a entrare in Parlamento. Se così fosse, l’offerta politica agli elettori si ridurrebbe a quattro-cinque partiti, con tanti saluti a quei milioni di elettori che si riconoscono in forze di dimensioni minori ma essenziali alla rappresentanza politica e territoriale. La scomparsa dei cosiddetti partitini è un altro argomento assai gradito al qualunquismo totalitario assicurato dai 5Stelle.
Quel che non si comprende è come il Pd, presunto erede delle migliori tradizioni riformiste, possa accettare una tale deriva che fa a pezzi la Costituzione e si piega alla volontà iconoclasta di chi interpreta l’odio verso la politica quale che essa sia. Con l’abolizione del finanziamento pubblico si sono tolte risorse preziose e indispensabili a una politica rappresentativa ed efficiente.
Ora, con l’attacco al Parlamento e grazie anche al silenzio tanto opportunista quanto irresponsabile delle forze riformiste, si compie un passo ulteriore verso la definitiva scomparsa della democrazia rappresentativa. La quale, con i molti difetti che contiene, è pur sempre la migliore forma di governo della cosa pubblica che l’umanità abbia sperimentato, come sosteneva a suo tempo Winston Churchill.
Concordo che il taglio dei parlamentari è stato frutto di demagogia e porta risparmi economici irrilevanti.
Faccio però presente che la Germania ha 83 milioni di abitanti e un Bundestag di 709 eletti a cui si aggiunge un Bundesrat di 69 membri nominati dai land, quindi un rapporto eletti elettori non dissimile da quello italiano post riforma 600 eletti per meno di 60 milioni di abitanti. Non dissimile la situazione spagnola con 47 milioni di abitanti: il Congresso de los deputados ha 350 membri. Il Senato è più numeroso, 265 membri (solo 200 eletti) ma ha pure poteri molto limitati.
La legge proporzionale con sbarramento al 5% (magari dopo tanti anni sarebbe bello che ci permettessero anche di scegliere anche tizio piuttosto che caio e non solo il partito) allo stato attuale porterebbe in parlamento Lega, PD, M5S, FdI, FI, e forse un partito di impostazione liberale composto da Azione, IV e +Eu. A questi andrebbero aggiunti i partiti regionali o delle minoranze. Ancora una volta una situazione non dissimile da quella tedesca con SPD, Verdi, CDU-CSU, Linke, FDP e AFD o quella sapgnola con PSOE, PP, Podemos, Ciudadanos, Vox e i partiti regionali.
Non mi pare che in Spagna o in Germania paventino pericolo per la democrazia.