Se non si trattasse di Matteo Salvini ma di un esponente qualsiasi dell’area di governo sarebbe venuto giù mezzo mondo: attacchi alla democrazia, fascismo, dittatura, sistema bielorusso. Siccome invece domina in questi anni di populismo una versione squadristica del confronto politico, ecco che il capo del principale partito di opposizione cessa di possedere i diritti civili fondamentali di ogni democrazia, a iniziare dal diritto di parola.
La campagna elettorale di Salvini in Toscana è stata derubricata dai media come una sorta di tour folkloristico. La giovane congolese che gli ha strappato camicia e rosario, una pasionaria un po’ su di giri. I contestatori che con pomodori e fischietti ne hanno impedito più comizi, interlocutori politici animati in fondo da motivazioni comprensibili. E i ristoranti minacciati di violenza qualora avessero accolto a pranzo il capo della Lega e i suoi accoliti? Tutto normale, tutto accettabile, quando invece si è in presenza di un sistema mafioso di gravità inaudita che non dovrebbe accadere in un paese civile, e che invece accade nella presunta democraticissima Toscana.
Senza scomodare Beatrice Hall, autrice del celebre “non condivido la tua opinione, ma darei la vita perché tu la possa esprimere” (citazione erroneamente attribuita a Voltaire, ma il senso non cambia), basterebbe ripensare agli anni duri del Dopoguerra nei quali il confronto politico, per quanto acceso fosse tra grandi e piccoli partiti in campo, non venne mai messo in discussione nelle sue regole fondamentali.
Perfino ad Almirante, leader del Movimento sociale e in gioventù repubblichino, non fu mai negato il diritto di tribuna nelle movimentate campagne elettorali della Prima Repubblica. E quando avvenne che un ristoratore sull’autostrada del Sole tra Bologna e Firenze si rifiutò di ospitarlo in veste di cliente, la vicenda si fece dirompente e divenne caso nazionale. Generalmente deplorato, com’era ovvio.
È persino banale sottolinearlo: il diritto di parola appartiene a tutti, senza se e senza ma. Qualora si avanzino dei se e dei ma, siamo automaticamente fuori dalla democrazia. Ai giustizialisti nostrani che vanno in piazza per impedire a Salvini di parlare va spiegato che la negazione del diritto di parola all’avversario è un atto violento che contiene i germi del totalitarismo. Ed è un comportamento che, se perpetrato con continuità, porta dritto alle squadracce punitive, al manganello, all’olio di ricino. In una parola, al fascismo.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]
Continuano gli straordinari successi elettorali dell'area riformista liberaldemocratica,che si ostina a schierarsi sempre indissolubilmente nel campo del centrosinistra senza mai beccare nemmeno un consigliere,cosi' come […]