Antimilitarismo radicale di Prampolini

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Del pacifismo e dell’antimilitarismo radicale di Camillo Prampolini molto si è detto e molto di più si è scritto. A volte però soffermarci a ricordare un episodio, apparentemente secondario, può servire a chiarire un pensiero o una fase storica meglio di un saggio o di una approfondita ricerca storica.

Il tentativo che qui provo a esplicitare va proprio in questa direzione.

Come è noto Prampolini fu fermamente convinto che l’Italia, per motivi etici e politici, non dovesse entrare nel primo conflitto mondiale, ma mantenere ferma la sua posizione di neutralità. Tale convinzione la espresse in parlamento, nelle amministrazioni pubbliche, sulla stampa di partito, nei comizi e in ogni conferenza che svolse ovunque lo chiamassero. Si dimostrò talmente fermo nel difendere le sue convinzioni da rasentare l’intransigenza verso chiunque osasse metterle in discussione.

Per farcene un’idea più precisa ricordiamo quanto accadde nel maggio 1916, quando la minoranza clericale presente in consiglio comunale di Reggio Emilia propose di onorare con una lapide i 28 studenti del liceo classico caduti al fronte. Il numero complessivo dei caduti reggiani ammontò a 6075, pari al 2% della popolazione. Prampolini si oppose fermamente a tale iniziativa, avanzando ragioni personali e politiche. Poiché tra quei giovani caduti vi era anche il figlio dell’ex compagno di partito e suo amico personale dott. Pietro Petrazzani, decise di scrivere a quest’ultimo una lettera con la quale argomentare la sua posizione.

Pietro Petrazzani nacque a Castelnovo ne’ Monti nel 1858 e svolse la sua attività di medico psichiatra presso l’Istituto San Lazzaro di Reggio Emilia, del quale fu direttore dal 1907 al 1925. Socialista della prima ora, collaborò al La Giustizia, stringendo una amicizia fraterna con Prampolini.

Dopo la sua elezione a consigliere comunale, nel 1912 si dimise dal PSI per aderire alla posizione di Bissolati, specie per quanto riguardava la guerra di Libia. Dopo la morte del figlio Nino sul Carso, si spostò progressivamente su posizioni nazionalistiche, tanto da diventare nel 1922 il primo sindaco fascista della città.

Nella lettera ricordata, dopo aver espresso il proprio cordoglio per la morte di tanti giovani e di Nino in particolare che aveva avuto modo di conoscere, Prampolini ribadì la propria contrarietà verso manifestazioni pubbliche che potessero significare anche solo una implicita glorificazione della guerra. Ribadì che per i socialisti la guerra restava un “residuo di barbarie, era la rissa, il fratricidio”. Ribadì d’essere stato convintamente per la neutralità assoluta e di voler fare tutto il possibile per farla terminare il prima possibile, visto che non si era stati in grado d’evitarla.

Petrazzani gli rispose: “Ti sono grato della rinnovata prova di amicizia. Tu che conoscesti Nino, il dolce e caro Nino della mia speranza, il bello e forte Nino generoso, sai quanto io abbia perduto e cosa mi costi l’orgoglio di aver dato un figlio alla Patria. Orgoglio straziante ma divino, se esso è l’ultima, più eccelsa sublimazione dell’altruismo”.
Si trattò dunque di un civile e affettuoso dialogo tra due sensibilità e due intelligenze, che pur di fronte a drammi personali indicibili, seppero mantenere fermi i propri convincimenti morali e politici.

La lapide fu comunque realizzata ed esposta negli anni venti. Questo il testo: “Diedero fidenti alla Patria la bella giovinezza esempio e monito alle generazioni che di qui passeranno amore e speranza dell’Italia nuova”. Seguono i nomi degli studenti: Alessi Salvatore, Bellegati Aldo, Casali, Mario, Catozzi Antonio, Cavatorti Pietro, Chiesi Vasco, Fantuzzi Arnaldo, Farini Fernando, Farioli Camillo, Lusetti Gianni, Malagoli Nevio, Margini Giuseppe, Mazzelli Ettore, Ferrari Giulio, Medici Cesare, Mironi Giovanni, Modena Giovanni, Norcia Guido, Panizzi Enrico, Pedroni Ulderico, Petrazzani Nino, Piazza Giorgio, Rossi Domenico, Saccozzi Mario, Scapinelli Antonio, Spadoni Alfondo, Zuccardi Merli Umbertp, Turi Ido.