L’ex assessore comunale Serena Foracchia scrive una lettera aperta per ricordare la figura della maestra della scuola per l’infanzia ‘Malaguzzi’, Lucia Levrini, per tutti Vanna, 57 anni, spirata lunedì, stroncata da un malore poco prima del processo nel quale era imputata per presunti maltrattamenti ad alcuni bambini. Vicenda per la quale l’educatrice si era sempre professata innocente.
Molto partecipata la cerimonia funebre di addio alla maestra dietro la Rocca di Scandiano, nella Chiesa grande.
Scrive Serena Foracchia da genitore: “Quando c’è stato bisogno di prendere posizione per chiedere che non fosse lasciata isolata nell’affrontare accuse pesantissime non ho potuto parlare.
Mi era stato consigliato di restare in disparte e di non prendere posizione, per il ruolo che ricoprivo, per la storia che avevo e perché le indagini dovevano fare il loro corso. Ho preso informazioni su come stesse Vanna e ci eravamo risentite solo di recente nell’estate quando, cambiate le mie condizioni di lavoro, mi ha ricontattata per chiedermi se ero disposta ad essere parte della sua difesa. Volentieri ho dato la disponibilità… per potere essere una voce che raccontava una storia diversa, per essere di supporto, per potere colmare quel silenzio che sentivo pesantissimo e quel vuoto attorno che mi è da subito sembrato vergognoso.
Così abbiamo affrontato lo shock iniziale io, mio marito e con noi altri genitori che temevano per i bimbi, ma al contempo riconoscevano nella maestra Vanna un riferimento per i nostri bambini; abbiamo ridimensionato le parole e cercato di comprendere per non agire d’impulso. Abbiamo partecipato a incontri e riunioni lunghe e talvolta disorientanti… non trovandoci né nella violenza ed irruenza di emozioni parole e affermazioni, né nel distacco assunto di chi si era già fatto giudice…. Non credo nei processi sommari né verso una parte ne verso l’altra. Si fa prestissimo a gettare nel discredito una persona, un‘istituzione, una famiglia, un insieme di persone che lavorano per anni con responsabilità. Ne abbiamo avute fin troppe di prove della forza distruttiva che hanno i processi sommari e dobbiamo imparare a rifiutarli.
Non posso dire con certezza se ci sono stati errori, comportamenti scorretti o l’entità della gravità di quanto accaduto, ma so che esiste un rispetto delle persone e che nell’errore e nella correzione dell’errore il rispetto esige che le relazioni si possano mantenere. L’errore non può essere umiliazione, non può essere privazione, assenza di correzione, non può essere isolamento dalla comunità dei colleghi, non deve essere continuo attacco e deve dare margini e possibilità di risposta, deve poi anche essere compreso e prevenuto, altrimenti le istituzioni non crescono.
Vanna ci ha insegnato anche in questo passaggio difficile. Ci ha insegnato come genitori che non dobbiamo rovinare la vita delle persone anche se commettono errori, ci ha insegnato a essere critici, a non essere esagerati o facili prede di agitatori. Ci ha insegnato a volere continuare la relazione, ci ha mostrato che non è giusto essere lasciati soli quando si costruisce assieme un percorso, ci ha insegnato che la relazione rimane e deve rimanere… È nella relazione che noi esistiamo e possiamo migliorare.
Vanna ha aiutato molti bambini, era la maestra di Cecilia. Io la posso raccontare per l’impatto che ha avuto su me e su Cecilia che la ricorda con affetto, come la maestra che insegnava come si stava a tavola, una maestra “morbida” la definiva lei, la mia bambina che si ricorda che sgridava, ma che non è assolutamente rimasta toccata né nella gioia, ne nella sua felicità di vivere, nella sua irrequietezza e simpatia ne minimamente disturbata nell’andare a dormine al pomeriggio. Vanna è stata maestra per Cecilia e per me…una maestra.
Quanto accaduto, la morte di Vanna ci deve fare riflettere sull’esito dei giudizi sommari, sulla violenza con cui i diritti di taluni prevalgono sui diritti degli altri, su cosa significa effettivamente basarsi sulle persone e costruire con le persone, in gruppo, in equipe un percorso, se si è insieme si resta insieme e ci si aiuta.
Perché chi cade non può essere abbandonato senza stipendio e senza rete quando ha dedicato la propria vita professionale e molto del proprio tempo, anche non lavorativo, a stare sui progetti pedagogici per gli altri e con gli altri. Mi metto nei suoi panni, non vorrei essere lasciata sola, non sopporterei di non potere spiegarmi, di non potere discutere…. La relazione aiuta chi cade a tirarsi su, chi ha subito a esporre il proprio rammarico, non si può amministrare negando la relazione o isolando le persone, anche coloro che commettono errori. Soprattutto non possiamo lasciare che prima ancora che la giustizia abbia fatto il suo corso ci siano condanne sommarie che di fatto diventano macigni pesantissimi da portare per talune persone.
Vanna è morta per cause naturali, ci hanno tenuto a comunicarmi, perché aveva una predisposizione congenita ed era soggetto a rischio, comunque sottoposta a controlli… ma il processo per Vanna, il corso normale della giustizia si apriva il prossimo 5 Novembre e nulla mi toglie dalla testa che, nonostante fosse un soggetto a rischio, un anno di sofferenze preoccupazioni e tensioni psicologiche abbiano fatto la loro parte in questo epilogo. Spero che molte persone si fermino a pensare, come ho fatto io, come hanno fatto altre mamme e colleghe… penso a chi le è stata accanto ed a chi le ha fatto il vuoto intorno, chi la voleva aiutare ed a chi è riuscito a giudicarla e a decretare la sentenza…
Sono troppe le occasioni in cui vediamo questo copione riproporsi, ma non vedo ancora come persone e come città il rifiuto di questi atteggiamenti. Se siamo città delle persone, città che è al centro di un sistema di lavoro comune e di attenzione alle persone dobbiamo curare la relazione e sviluppare anticorpi non solo come singoli, ma come comunità che ci consentano di fare fronte a questi attacchi e che ci riportino con i piedi per terra di fronte agli agitatori… in questa solidità delle relazioni sta il futuro”.
Scriviamo questa lettera con la paura che questa storia, il vissuto dei nostri figli e di tutti i protagonisti di questa triste vicenda, possa essere manipolata da una politica ormai senza più regole se non quelle di strappare voti e consensi, come uno sciacallo che non si cura –perché non ne conosce l’esistenza- della preda di cui si sta nutrendo.
Siamo parte del gruppo di genitori che ha vissuto la vicenda scolastica e processuale che ha visto come protagonisti la maestra Vanna deceduta pochi giorni fa, i propri figli e tante altre persone e istituzioni.
Siamo profondamente addolorati per la morte dell’insegnante e ci dissociamo totalmente da chi si esprime in modo per noi inumano, sul web e non solo, sfruttando questa storia come sfogo per esprimere rabbia, sensi di colpa e, forse, altre personali frustrazioni. Persone che giudicano noi come avvoltoi senza capire che così facendo giudicano i bambini stessi di cui noi siamo solo portavoce. E altri che invece si scagliano contro l’insegnante senza chiedersi in che contesto è avvenuto tutto questo.
La rabbia certo è un sentimento diffuso ed è facile seguirla se non si vuole andare oltre e vedere quel che nasconde ma, nella nostra situazione, anche per il bene dei nostri figli, per la sofferenza che hanno vissuto che è già tanta e non ha bisogno di sommarsi ad altra negatività, non vogliamo e non possiamo concederci la debolezza di seguire questa emozione se non per scoprire che, in fondo, nasconde un dolore e che come tale si può affrontare diversamente, magari trasformandolo in qualcosa di positivo.
Per questo noi abbiamo scelto di andare oltre, di non cavalcare la rabbia che non porta a nulla se non a crearne altra. Ed è stato difficile, un percorso a tratti e non lineare, ma è la strada che stiamo cercando di percorrere.
Abbiamo deciso di difendere i nostri figli denunciando una situazione e degli atti ma questo non giudicando la maestra Vanna come persona che, nonostante tutto, non possiamo comprendere fino in fondo nel suo vissuto in questa storia e nella sua esistenza.
Ed è con questa premessa che crediamo sia importante andare avanti nella ricerca di una giustizia che dobbiamo ai nostri figli ma anche alla società.
Qualcuno potrà aver pensato che noi genitori ci siamo accaniti con rabbia in una vicenda poco plausibile, qualcuno penserà che ci interessano cose materiali. In questa storia, soprattutto sui social, è tutto o bianco o nero. Nessuno che si fermi a pensare che ci sono persone, anche piccole, che hanno sofferto e che ancora soffrono. C’è chi distrugge noi e chi distrugge l’insegnante.
Ma noi non siamo qui per distruggere, siamo qui per costruire, anche attraverso la ricerca di giustizia. Per capire dove è stato l’errore e cercare di risolverlo perché, quest’errore, ovunque sia stato, per i nostri figli è stato un trauma. Perché, come isegna lo stesso metodo in cui crediamo e a cui abbiamo affidato i nostri bambini, dagli errori si impara e si può crescere. Ma, prima di costruire una nuova soluzione, l’errore va trovato, ammesso, conosciuto, non nascosto. Ci vuole coraggio, umiltà e consapevolezza per ripartire da un errore.
Per questo crediamo che si debba andare avanti nella ricerca di una luce su tutto questo e speriamo di non essere soli nel volerlo; speriamo che anche le istituzioni abbiano la forza e il coraggio di non lasciar cadere questa vicenda nel nulla.
Perché in una città che si proclama essere la città dei bambini e delle persone, qualcosa non ha funzionato nell’ascolto che è alla base della relazione; dell’ascolto dei bambini prima, dei genitori poi e, forse, anche dell’insegnante, nei segnali che mandava al di là delle parole.
Eppure noi, proprio perché abbiamo ascoltato i nostri figli, ora veniamo denigrati attraverso insulti e ingiurie solo per esser stati i loro portavoce. E questo giudizio sommario che si scaglia soprattutto sui bambini, arriva senza considerazione e rispetto per il lavoro del PM, del GIP e di tutti gli atti processuali raccolti che hanno portato poi all’avvio del processo penale.
Veniamo accusati di aver dato sentenze sommarie quando siamo stati forse gli unici a fare molta attenzione e a valutare ogni cosa prima di muoverci o parlare.
Il giudizio è la via più facile per chi non vuole farsi domande anche su se stesso, per chi vuole nascondere il proprio errore, a volte troppo doloroso da vedere.
A chi ha dei dubbi su cosa ci spinge a cercare la verità vogliamo dire che non è né per rabbia né per venalità.
È per giustizia di cui i nostri figli hanno bisogno oggi e per il loro futuro. Perché non pensino che gli adulti possano sbagliare senza che vi sia nessuna conseguenza.
È perché, dopo questa e altre storie simili accadute non lontano da noi, crediamo nella necessità di una evoluzione e che questa non sia possibile senza una presa di coscienza da parte di tutti coloro che, direttamente o indirettamente, sono coinvolti in questa storia.
È perché crediamo che proprio qui, in questa terra che ha sempre guardato avanti, dove dalla tragedia di una guerra è nata una realtà educativa così ricca di umanità –realtà in cui crediamo e che ha arricchito le vite dei nostri figli-, possa nascere un cambiamento volto alla prevenzione di queste dinamiche.
Mi permetto di ringraziare Serena Foracchia per la sua lucida descrizione dei fatti. Sono anche io un genitore che ha avuto il piacere di incontrare Vanna sul cammino di crescita della mia bambina e voglio confermare la stima e l’affetto per questa professionista.
Vorrei che tutto venisse riportato su un livello di umanità, di rispetto della persona e della sua esistenza, sull’obiettività di quanto accaduto. La verità dei fatti l’avrebbe affermata solo la magistratura e per tale motivo ritengo che dare per vera una versione rispetto a un’altra fa solamente parte di una giuatizia sommaria. Cosa è la verità? Si deve sempre considerare il contesto, gli attori, i comportamenti nel loro fine. Sarebbe stato il processo a porre la parola fine a questa triste vicenda…
Sono una delle mamme che ha, purtroppo, un ricordo diverso perché testimone della sofferenza di mio figlio nel rapporto con la maestra Vanna . Ma ieri ho pianto e provato dolore per la notizia perché mai ho giudicato la persona ma solo i fatti che stavano segnando mio figlio e che ancora ricorda negativamente. Ho immaginato il senso d’abbandono che poteva aver sentito da parte di chi, evidentemente, non voleva ammettere il proprio coinvolgimento perché troppo doloroso o vergognoso. Ed è terribile leggere sentenze, da una parte e dall’altra, senza nessun rispetto per le persone, senza umanità. Sono d’accordo sul fatto che tutti possano sbagliare, lo insegnano ai nostri figli che l’errore è importante per crescere. Ma ci vuole coraggio, umiltà e consapevolezza per ammettere un errore e queste sono cose che anche i grandi fanno fatica a trovare e, in questa storia, le hanno trovate in pochi. Non è mai tardi però per farlo e sarebbe davvero importante che le istituzioni per prime decidessero di andare avanti nella ricerca della verità e dell’errore senza paura, nel caso emergesse, di dover ammettere le proprie responsabilità. Mettere le persone al centro è possibile solo partendo dall’ascolto e, purtroppo, in tutta questa vicenda è proprio quello che è mancato. Non sono stati ascoltati da subito i bambini, non i genitori quando hanno cercato dialogo con insegnanti e pedagogista, non la maestra Vanna, al di là del detto o non detto, perché l’ascolto profondo va oltre le parole. Il dolore vissuto da mio figlio nei suoi anni più delicati diventato anche il mio non m’impedisce ora di condividere quello per la morte di Vanna. Spero che tutto questo possa portare a un nuovo modo di affrontare e prevenire situazioni così dolorose.