Il Macbeth alla Scala tra Verdi e gli effetti speciali

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7.5

di Mauro Del Bue

 

Ci sono due chiavi per interpretare la regia psichedelica di Livermore in questo Macbeth senza tempo che ha inaugurato la stagione della Scala nel Sant’Ambrogio più desiderato dagli anni della guerra e ci ha riconciliato con la ritrovata normalità dopo il lockdown che aveva sacrificato la prima di Lucia di Lammermoor del 7 dicembre scorso. Una é quella che si connette alla logica del rispetto delle parole di Piave che Verdi ha messo in musica. Allora non si comprendono molte cose. Non si comprende come si concili il riferimento alla campagna vittoriosa di Macbeth e Banco con una strage dagli stessi procurata in perfetto stile mafioso con la quale si apre l’opera. E che stona con la frase di Macbeth “Giorno non vidi mai sì fiero e bello” a cui fa da contrappunto Banco con “Né tanto glorioso”. I due non ritornano certo da un cruento mattatoio di civili. E soprattutto Banco, che diventa vittima sacrificale di “quel tigre” (la definizione é di Macduff a cui il duo omicidi aveva appena fatti trucidare moglie e figli), Banco i cui figli regneranno e che non é certo un emissario di Totò Riina, ma un personaggio che la violenza la subisce innocente. Le streghe sono persone normalissime, molte sembrano commesse di un supermercato.

“Dirvi donne vorrei, ma lo mi vieta quella sordida barba”, recita Banco, ma di barbe non se ne vede mezza. Anzi, le donne sono truccate e avvenenti. Potremmo continuare, perché una regia dovrebbe per quanto innovativa rispettare un testo scritto. Poi c’é invece un secondo metro di giudizio ed é quello che produce emozioni, attraverso colori, effetti visivi, tecnologie usate alla perfezione. Qui scenografia e regia si superano e poco importa che la Lady si presenti agghindata e colorata e con la sigaretta che le si snocciola tra le dita a mo’ di madame Claude nel film con Klaus Kinski. L’illustrazione assume carattere trainante. E quei grattacieli che svettano nella loro anonima fattura e quell’andare e venire di un ascensore che proietta il potere come transitorio e che si possono vedere dal basso e dall’alto (meravigliosa quella posizione ardita di Lady Macbeth appollaia sull’orlo del precipizio) sono trovate frutto di una creatività intelligente e quanto mai efficace. Il teatro non può fare a meno di tutte le scoperte tecnologiche e non dimentichiamo che Luca Ronconi nel suo Gugliemo Tell dell’88 fece uso tra i primi del film in scena e fu constatato come tutti gli innovatori.

E’ stato giustamente rilevato che le nuove tecniche non possono essere il fine ma solo il mezzo. Vero. Ma quei colori opachi che sorreggono una sorta di dipinto (in questo caso le tecnologie vengono usate per esprimere una visione puramente artistica e pittorica del teatro) ci hanno ricondotto alle emozioni che suscita un dipinto impressionista di Monet o di Cezanne. E ci hanno lasciato esterrefatti e presi da una commozione ben conciliata con l’arte musicale di Verdi. Dunque sospendiamo il giudizio tra logica ed emozione. Tra razionalità e creatività. E assolviamo e lodiamo il lavoro di quanti hanno saputo regalarci tutto questo in perfetta simbiosi tra effetti teatrali e televisivi. E veniamo al resto.

La protagonista assoluta della serata, e la più applaudita alla fine, é stata lei, Anna Netrebko, alla quale si imputa di passare da Traviata a Tosca e a Lady Macbeth con inusitata leggerezza. La verità é che il soprano russo nel suo canto possiede diversi timbri musicali: quelli prevalentemente lirici (forse ha insistito un po’ troppo su questo nella caballetta del primo atto che la Verret cantava con tutta la sua forza, per non parlare della Dimitrova), ma anche quei toni bassi e scuri (da contralto) che servono per un soprano drammatico e unico come la Lady. Giusto ricordare che Verdi raccomandava per lei un canto disuguale e non bello. La Netrebko forse insiste troppo nello sfumato e nel sospeso, ma la sua voce si trasforma come poche. Nell’aria del secondo atto “La luce langue” mostra il suo carattere e la sua ineguagliabile capacità musicale. Come era stata forse troppo lirica nella caballetta, qui si mostra come la Lady più malefica che si sia mai ascoltata e apprezzata almeno negli ultimi vent’anni.

Anche nella recitazione, sì perché Anna é attrice insuperabile e lo é anche con l’espressione degli occhi e con l’agitarsi delle braccia (caratteristica di tutti i personaggi qui, alla stregua delle tecniche adottate nel teatro giapponese). Esprime l’ansia patogena del potere a tutti i costi. A costo del sangue da versare per ottenerlo e difenderlo. Nuovo delitto? E’ necessario. La necessità diventa l’unica credibile origine del sangue versato. Lo motiva e in fondo lo assolve. Canta con superba tranquillità sfidando i pericoli l’aria “Una macchia qui, tuttora”. La pazzia e il sonnambulismo sono qui dominate dal rischio di crollare a precipizio come poi avverrà. La Lady muore e il re morirà dopo aver sentenziato: “La vita che importa. E’ il racconto di un povero idiota”. . Macbeth é il baritono parmigiano Luca Salsi che affronta la parte con sicura padronanza. La sua voce calda e potente ha intonazione perfetta. Questo nei registri più acuti come nei bassi. Non avrà il perfetto riscontro che Verdi affida a questo personaggio. Non bella voce, soleva dire, ma espressiva.

Un Bruson per dirla tutta. Ma Salsi merita tutta l’approvazione del pubblico. Dopo Scarpia un’altra prova superata. A quando il Falstaff? Meli é un perfetto Macduff e bravi anche gli altri. Menzione speciale per Riccardo Chailly e l’orchestra della Scala, con un solo appunto. Il Macbeth, opera del 1947, é stata rivista nell’edizione del 1865 (Verdi riscrive il coro “Patria oppressa”, introduce la romanza “La luce langue” tagliando l’aria di Macbeth morente e riscrive anche il finale del terzo atto sostituendo la caballetta con un meraviglioso concertato). Ora che senso ha scegliere l’edizione del 1865 e aggiungere l’aria del 1847 e cioè quella di Macbeth dell’ultimo atto? Per il resto superba la prova dell’unico direttore d’orchestra italiano degno erede di Abbado e Muti.

Citazione particolare per il coro del Teatro alla Scala di Milano. Le commesse-streghe sono inappuntabili, compresa quella anzianotta cogli occhiali sempre in prima fila. Il coro di Patria oppressa é giocato con quelle sospensioni che lo rendono una vera e propria implorazione. Quest’ultimo esaltato anche da una felice scelta registica che lo costringe dietro le sbarre. Su tutti ancora il genio di Verdi che guarda in faccia Shakespeare come farà alla fine della sua carriera con Otello e Falstaff (il suo sogno irrealizzato fu di musicare il Re Lear) e lo accompagna rendendolo, forse, anche più emozionante. Considerata opera minore (dei cosiddetti anni di galera di Verdi) il Macbeth é poi stato rilanciato a partire dal 1952 (interpretato da Maria Callas) e non c’é opera che abbia dovuto attendere tanto tempo per potere essere capita e adeguatamente valorizzata. Oggi é considerata a ragione un capolavoro dell’epopea verdiana.

I nostri voti


Davide Livermore
7
Anna Netrebko
8
Luca Salsi
7.5