Un giorno, Giovanni il Battista indirizzò due suoi discepoli a Gesù. Il dialogo che ne seguì è molto interessante: esso sembra ovvio, ma affronta i desideri profondi di ogni uomo. Gesù chiede: “Che cosa cercate?”. Riconosce come legittima l’inquietudine del cuore umano. I due discepoli rispondono con una domanda, nella quale c’è l’aspirazione dell’uomo a un fondamento, che dia stabilità alla vita: “Maestro, dove abiti?”, alla lettera, “Dove rimani?”. Gesù chiede, allora, di rinunciare alla pretesa di conoscere in anticipo il suo messaggio: “Venite e vedrete”: ci si deve muovere, uscire dalle proprie abitudini e dalle proprie paure. Infatti, l’episodio si conclude così: “Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui” (Gv 1,35-39).
La ricerca di stabilità, di un luogo dove abitare, luogo prima di tutto interiore, non è l’aspirazione soltanto dell’uomo d’oggi. Nella preghiera di Israele si legge: “Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario” (Salmo 27).
Dobbiamo interrogarci sul nostro fondamento, su ciò che dà stabilità alla nostra vita; altrimenti, siamo “come bambini in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento, ingannati dagli uomini con quell’astuzia che trascina all’errore” (Paolo agli Efesini 4,14). L’azione coraggiosa ed efficace richiede un fondamento interiore, una stabilità spirituale. Gesù usa l’immagine del tesoro: ci sono convinzioni profonde, che ci siamo formati con dure esperienze, ed esse sono preziose per noi, sono la fonte di ispirazione delle scelte più impegnative., ci consolano nei momenti di turbamento, ci danno la forza di ricominciare dopo le sconfitte e gli errori.
Come accumulare questo tesoro? Esso è formato prima di tutto dalle relazioni più care, quelle con le persone che amiamo e che ci amano. Sappiamo che su di esse possiamo contare, qualunque cosa succeda. Esistono oggi tante persone “sradicate”, che sembrano non esistere, che sono come trasparenti: lo sguardo degli altri non si ferma su di loro. E’ per questo che il telefonino è così importante: è forse un surrogato di relazioni di miglior qualità, ma sia benedetto, se salva dalla disperazione.
Del tesoro fanno parte anche certe esperienze che ci hanno messo duramente alla prova ma che ci hanno permesso di conoscere noi stessi, come dice sant’Agostino. Gesù indica soprattutto la via della carità: “Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove ladri scassinano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, perché dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (cfr Mt 6,19-21).
Infine, fa parte del tesoro, anzi probabilmente ne è il gioiello più prezioso, il dialogo con quel Tu, che è come l’orizzonte, che circonda le tante esperienze e al quale ci rivolgiamo anche se non ne conosciamo il nome. Con lui è lecito arrabbiarci, pretendere risposte anche se non ne arrivano, porre quesiti insolubili. Da esso, arrivano parole che ci inquietano o che respingiamo come assurde, ma che rimangono piantate nel nostro spirito come punte di freccia conficcate nella carne. In particolare, c’è una parola che ricorre sempre: “Io sono con te”. C’è un episodio molto significativo nel libro dei Giudici, quando Israele viene invaso dai nemici. Un angelo si presenta a Gedeone e lo saluta; “Il Signore è con te, uomo forte e valoroso!” Al che, Gedeone risponde, con suprema libertà; “Perdona, mio signore: se il Signore è con noi, perché ci capita tutto questo?” (Gdc6,11 ss.). Ma Dio non teme di essere trascinato di fronte al tribunale dell’uomo. Un giudice romano gli pose la domanda giusta: “Che cos’è la verità?”. Peccato che Ponzio Pilato non si sia fermato ad aspettare la risposta. Ma forse ci vuole tutta una vita per comprendere che quella risposta è un dono, che viene elargito a chi consegna se stesso.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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