Con la statalizzazione delle ferrovie approvata dal governo il 22 aprile 1905, aprì diverse opportunità anche per Reggio Emilia. Non solo perché il tratto Rubiera- Sant’Ilario passava allo Stato, ma anche per riequilibrare i rapporti con la società privata SAFRE (Società Anonima delle Ferrovie di Reggio Emilia), che gestiva le ferrovie provinciali Reggio-Guastalla e Reggio-Sassuolo. A Reggio mancavano ancora due importanti direttrici per completare i collegamenti con le zone della provincia trascurate in precedenza e con le vicine Parma e Mantova: quella Sud-Ovest (Reggio-Ciano), la seconda Nord Ovest (Reggio-Boretto per il collegamento con Mantova).
Il progetto con diramazione Montecchio, che nei progetti precedenti non era compreso, grazie anche all’interessamento dell’on. Borciani, eletto in quel collegio, venne approvato dalla Provincia il 4 luglio 1902. La Deputazione provinciale, ancora governata dai liberali propose dunque alla SAFRE la realizzazione dell’opera.
Iniziò quindi una lunga trattativa con la SAFRE, diretta da Giuseppe Menada, sui costi del lavoro e sull’attribuzione, almeno in parte, dei lavori alle cooperative, con assunzione di una percentuale predefinita di propri lavoratori. E proprio su quest’ultimo punto la trattativa si arenò per anni.
Il cavalier Giuseppe Menada, presidente della SAFRE, non era in condizione per problemi di equilibri politici ed economici interni alla società di poter sottoscrivere un atto ufficiale come garanzia. Menada tra l’altro era il capo della coalizione detta la “Grande Armata”, che nel 1904 aveva battuto i socialisti alle elezioni amministrative.
Il 13 ottobre 1905 La Giustizia scrisse: Il cav. Menada, direttore di una società ferroviaria (SAFRE), rappresentante di una Banca, presidente della Camera di Commercio, assumeva di punto in bianco uno spiccato colore politico, che non poteva fare a meno di impensierire le organizzazioni proletarie nostre e la Deputazione provinciale.
Non si aveva più a che fare con l’uomo d’affari e di commercio, ma con il capo dichiarato della concentrazione antisocialista. E fu per questo che la Deputazione provinciale, continuando le trattative, sentiva il bisogno di garantirsi presso il cav. Menada con una clausola che assicurasse alle organizzazioni buona parte delle opere da farsi”.
Tutto, dunque, rimase congelato fino all’esito delle elezioni provinciali. A seguito però della presunta ineleggibilità di diversi consiglieri socialisti, si resero necessarie nuove elezioni, che furono indette solo nel 1906.
Pertanto dal 1904 al 1906 la presidenza della Provincia fu riaffidata al presidente uscente, il socialista Alessandro Cocchi.
A quel punto, il 16 ottobre 1904, i socialisti, consapevoli che il tempo a loro disposizione sarebbe scaduto alla data delle nuove elezioni, giocarono d’anticipo e costituirono, grazie all’impegno indefesso di Antonio Vergnanini, il Consorzio cooperativo di produzione e lavoro, al quale aderirono 27 cooperative reggiane, con a capo Giovanni Bolognesi.
Il Consorzio si impegnò a costruire la linea ferroviaria per L. 3.600.000 e di gestirla per 70 anni, oltre un compenso a corpo di L. 250.000. Il capitale sociale iniziale di 406.619 lire il Consorzio fu sostenuto finanziariamente dall’Istituto di Credito per le cooperative di Milano e dalla locale Banca delle cooperative, dalla Cassa di risparmio locale. Il 25 marzo 1905 il Consiglio provinciale approvò l’affidamento definitivo per la realizzazione dell’opera al Consorzio cooperativo.
Causa il ritardo della sovvenzione statale e i numerosi ricorsi giudiziari promossi dalla SAFRE circa la titolarità della concessione, i lavori iniziarono solo nell’agosto 1907 e la festa, organizzata il 29 settembre per la posa della prima pietra, fu quanto mai affollata ed entusiasta. Furono presenti tutte le massime autorità politiche ed economiche della provincia, oltre all’ex ministro e futuro presidente del Consiglio (31-03-1910/29-03-1911) l’on. Luigi Luzzatti, che si disse sorpreso ed entusiasta dell’impresa. Era nata la prima e unica ferrovia costruita dai proletari.
La risonanza dell’evento ebbe un’eco internazionale e venne consacrata dalla visita dei rappresentanti dei movimenti cooperativi delle diverse nazioni convenute al 7° Congresso dell’Alleanza cooperativa internazionale di Cremona del 1907. Intanto i lavori procedettero velocemente tanto che l’otto ottobre 1910 venne aperto l’ultimo tratto e il trenino imbandierato della cooperazione poteva raggiungere Ciano.
A questo poi si aggiunse l’allacciamento definitivo alla linea ferroviaria dello Stato.
Il miracolo dunque si era compiuto in soli tre anni nel rispetto dei tempi e dei costi, superando diverse difficoltà di ordine tecnico, organizzativo, finanziario e politico senza precedenti.
Anche Menada e il suo socio Righi ebbero comunque dei benefici, seppur indiretti, da tale realizzazione.
Alla loro officina metalmeccanica, in seguito denominata OMI (Officine metalmeccaniche reggiane) fu infatti affidata la costruzione dei vagoni ferroviari. Oggi diremmo che si determinò un circolo virtuoso tra privato-privato e privato cooperativo.
A Reggio pertanto rimasero due centrali ferroviarie: la SAFRE con la Guastalla-Reggio-Sassuolo e il Consorzio di produzione e lavoro, in seguito denominato CCFR, con la Reggio-Ciano con diramazione Montecchio.
Quando la CdL, nell’agosto del 1911, organizzò una gita all’Esposizione permanente di Torino, da Reggio partì un convoglio e le due macchine che lo trainarono furono battezzate “Andrea Costa” e “Rochdale”.
I cooperatori furono accolti alla stazione da una banda musicale, una folla festante e tante bandiere rosse.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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