La contemplazione

dossetti16

Duecentoventitreesima lettera alla comunità al tempo della conversione

 

Mercoledì prossimo comincia la Quaresima, con il segno molto forte dell’imposizione della cenere sul capo. Certamente, essa è “tempo favorevole”, come la chiama la liturgia: tempo di rinnovamento, di distacco e contrasto dei nostri vizi, di recupero della pratica religiosa interrotta o sfilacciata.

Certamente, ne abbiamo bisogno. Io però ho l’impressione che ci voglia qualcosa di straordinario, come straordinario è il periodo che stiamo vivendo, il peso del male che ci opprime, la caduta della speranza in tante persone. Per questo, ho una proposta: all’inizio di questa Quaresima, non facciamo nessun proposito, non prendiamo nessun impegno, se non l’unico, che mi sembra il solo adeguato.

Dico questo anche per la mia esperienza personale: difficilmente sono riuscito a mantenere i propositi, se non quando ho smesso di confidare in me stesso, nella mia capacità di darmi una disciplina, e ho cercato un’altra via.

Il punto di partenza sta nel riconoscere la nostra impotenza di fronte al male. Su questo punto, san Paolo ha un’espressione senza compromessi: “Eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati” (Ef 2,1). Eravate morti: un morto non può far nulla, prigioniero di qualcosa di più grande di lui. Come, allora, riacquistare la libertà, come risorgere? Su questo, il Vangelo è molto chiaro. In uno scontro con i suoi avversari, Gesù invita gli interlocutori a “rimanere nella sua parola”; se lo faranno, “conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”. Nel linguaggio del vangelo di Giovanni, la parola e la verità sono l’opera che Dio compie, per amore del suo popolo e quest’opera è la persona di Gesù: “Gli risposero: ‘Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: diventerete liberi?’. Gesù rispose loro: ‘In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre.  Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero'” (Gv 8,32-36).

“Il Figlio vi farà liberi”: l’impegno quaresimale dovrebbe essere, a parer mio, lo spostamento dell’attenzione dall’opera nostra, dall’opera dell’uomo, all’opera di Dio. Mi piace usare la parola “contemplare”. Contemplare è più di vedere, guardare. Chi contempla, si lascia prendere, si lascia avvolgere da qualcosa che gli viene incontro, che illumina pensieri, sofferenze, speranze; certamente, anche i difetti, ma non per abbatterci, non per confermare un giudizio severo sui nostri errori e sulle nostre debolezze, ma per incoraggiarci, perché anche noi siamo preziosi come dei figli.

Non pensiamo che la contemplazione sia riservata ai monaci, a coloro che vivono nel silenzio. Tutti noi contempliamo: un panorama, un quadro, le persone che amiamo; contemplare è guardare con ammirazione e amore.

Qualcuno dirà: che cosa c’è da amare, quando il peso del male è così grande, quando siamo circondati da spettacoli brutti, da volgarità e prepotenze? Ma, soprattutto, il peso del male sembra irrimediabile, macerie che non possono essere rimosse. Parlare di speranza, come ci suggerisce il Giubileo, sembra ingenuamente illusorio. Per questo, la nostra contemplazione deve rivolgere il nostro sguardo a qualcosa di talmente grande e pesante, da divenire come un’àncora, un punto fermo per rispondere a chi, per cinismo o per delusione, pensa che la speranza sia una parola vuota. Quest’àncora è la croce di Gesù.

Nel primo giorno di Quaresima si leggono le parole di san Paolo: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo ha fatto peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” (2Cor 5,21). In questi quaranta giorni, accogliamo l’invito del profeta Zaccaria: “Riverserò (sul mio popolo) uno spirito di grazia e di consolazione”, perché “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (cfr. Zaccaria 12,10). Dio si è compromesso con noi, con me, per sempre, come definitiva è la croce del suo Figlio.




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