La colonia reggiana dei bimbi viennesi

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La tragica situazione in cui si venne a trovare l’economia austriaca dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale, a causa anche delle pesanti sanzioni imposte dalle potenze vincitrici, apparve in tutta la sua drammaticità quando, tra la fine del 1918 e la primavera del 1919, un gruppo di donne inglesi lanciò l’allarme dei troppi bambini orfani, abbandonati e affamati, a seguito del quale, grazie all’attivista Eglantyne Jebb nacque il primo nucleo della futura ONG Save the children.

A nemmeno due anni dalla fine del conflitto, si sentì la necessità di aiutare la popolazione austriaca ad uscire da quella situazione, offrendo almeno ai più giovani e ai più bisognosi un poco di serenità e di speranza.
Allo scopo furono messi in campo diverse iniziative europee per raccogliere fondi e realizzare progetti di accoglienza per circa ottantamila bambini austriaci.
Gli Stati coinvolti furono otto: Cecoslovacchia, Germania, Svizzera, Paesi Bassi, Danimarca, Svezia, Norvegia e Italia.

Nel nostro caso l’ospitalità fu organizzata e attuata da varie associazioni assistenziali, prevalentemente cattoliche e socialiste, mentre lo Stato si limitò a garantire i mezzi di trasporto degli uomini e delle merci.
Alla disponibilità di diverse parrocchie e di alcune famiglie benestanti, incoraggiate anche dalla enciclica di papa Benedetto XV “Paterno iam diu”, i socialisti risposero facendo appello al loro spirito solidaristico internazionale, intriso di valori social-cristiani predicati da Prampolini, costituendo a Roma un Comitato nazionale presso la Lega dei comuni socialisti.

Le città che per prime risposero all’appello furono quelle di Milano, Bologna e Reggio Emilia e a seguire quelle di altre importanti città del Nord d’Italia: Varese, Genova e Novara. Esse diedero la loro disponibilità ad accogliere per circa quattro mesi circa duemila bambini dall’età compresa dai quattro ai dodici anni, assicurando loro vitto, alloggio, cure mediche, istruzione scolastica con insegnati di lingua tedesca. Non mancarono però anche l’attività sportiva, le gite, il cinematografo e il teatro.

A Reggio, oltre all’impegno delle amministrazioni comunale e provinciale, tutte le sezioni del partito socialista, le cooperative e le associazioni di beneficienza, furono invitate a promuovere sottoscrizioni e a raccogliere quanto era necessario per assicurare una permanenza dignitosa ai tanti bambini in arrivo. Anche alcuni liberali illuminati vollero concorrere alla copertura dei costi con donazioni personali. I novantotto bambini destinati a Reggio Emilia giunsero in stazione il 1° gennaio 1920. Stando alla cronaca di quei giorni furono accolti dalla banda comunale e da una gran folla di cittadini in festa.

Tutta quell’attività fu seguita e ampiamente rendicontata da La Giustizia e da altri fogli reggiani come Il Giornale di Reggio, che ospitò sovente anche le critiche mosse ai socialisti dagli avversari politici, cioè i cattolici e i liberali conservatori.

Alle povere argomentazioni che questi utilizzarono per mettere in difficoltà i socialisti, accusati di speculare sulla triste sorte di innocenti per fini elettorali, ignorando le medesime difficoltà dei bambini italiani, i socialisti ribadirono la necessità politica, dopo anni di guerra, di raggiungere la riappacificazione di tutti i popoli europei, unica condizione per rafforzare la pace e porre le premesse per un futuro di progresso e giustizia sociale.
Come oggi purtroppo sappiamo le pesantissime sanzioni che misero in ginocchio l’economia dei paesi perdenti, furono forse la causa principale del sorgere di un forte sentimento di rivincita, che portò al sorgere del nazismo e alla seconda guerra mondiale. I socialisti, dunque, furono lungimiranti quando spiegarono che l’umiliazione dello sconfitto non avrebbe mai posto le basi di una pace vera e duratura.

Quella in corso rappresentava pertanto solo una prima, piccola ma significativa iniziativa che andava proprio in quella direzione. Al nazionalismo dei conservatori i socialisti contrapposero quindi il valore dell’internazionalismo proletario, facendo presente comunque che la loro attenzione era rivolta anche ai bambini poveri italiani, specie quelli delle terre più martoriate dalla guerra: Veneto, Trentino, Friuli. Per loro si stavano raccogliendo vestiti, prodotti alimentari e sanitari, oltre all’accoglienza in colonie già in attività.
Grande sostenitore di tale iniziativa fu il direttore della Giustizia on Giovanni Zibordi, che in più occasioni argomentò ampiamente la sua posizione sul foglio socialista.

I bambini vennero ospitati presso l’ex Villa Levi, appartenente, anche se posta in posizione lontana e separata, al complesso dell’Istituto psichiatrico San lazzaro. Tutto il programma d’attività, sanitario, educativo, culturale e sportivo, fu svolto nel rispetto delle esigenze dei singoli piccoli ospiti. Dopo quattro mesi di intensa attività, i bambini ripartirono per Vienna il 12 maggio 1920.
I giornali locali riferirono di un clima di grande tristezza di tutti i convenuti in stazione. Molti bambini furono visti salutare i loro educatori addirittura con le lacrime agli occhi. La banda comunale li accompagnò fino a quando il treno, ormai lontano, non fu più visibile.