L’indagine sugli investimenti delle imprese industriali dell’Emilia-Romagna, realizzata da Confindustria Emilia-Romagna, ha evidenziato un percorso di sviluppo e crescita sempre più all’insegna della sostenibilità. Le imprese hanno investito il 6,6% del proprio fatturato, in particolare con interventi di natura organizzativa e gestionale come Ict e formazione. Rispetto a dieci anni fa è triplicata la percentuale di aziende che ha investito in sviluppo sostenibile: nel 2010 erano il 20%, mentre nel 2020 il 58% delle imprese ha realizzato investimenti di sostenibilità ambientale e sociale.
“La pandemia non ha paralizzato l’economia regionale”, ha sintetizzato il presidente di Confindustria Emilia-Romagna Pietro Ferrari: “Le imprese hanno continuato a investire, con una chiara traiettoria di evoluzione verso una sempre maggiore sostenibilità. Una scelta che sta entrando sempre più strutturalmente nelle strategie di crescita delle aziende, a prescindere dalla dimensione. La veloce ripartenza di metà 2020, dopo i fermi produttivi della primavera, è stata la conferma di una manifattura resistente e attrezzata a gestire situazioni di forte criticità”.
Per il 60% delle aziende, inoltre, aumentare il grado di sostenibilità sarà una priorità di investimento anche nel 2021: “Gli obiettivi del Patto per il lavoro e per il clima in termini di decarbonizzazione ed energie rinnovabili sono molto ambiziosi – ha ricordato Ferrari – e li abbiamo condivisi, ma senza una regolamentazione, normative chiare e strumenti finanziari per la transizione energetica rischiano di restare enunciazioni di principio”.
Il 2021 sarà un anno di svolta. Accanto al piano di vaccinazione, indispensabile per superare la crisi sanitaria, per il presidente Ferrari “sarà fondamentale la piena e coerente attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Questo massiccio programma di investimenti e riforme avrà un ruolo chiave per la ripartenza del Paese sia per l’impatto diretto degli investimenti pubblici sia per accelerare gli investimenti privati. Gli investimenti privati e pubblici, infatti, devono coesistere, perché i soli investimenti dello Stato non bastano per rilanciare la crescita: le infrastrutture e le riforme, pur necessarie e indispensabili, non sono sufficienti a creare strutturalmente benessere e lavoro. Le imprese hanno sostenuto lo sviluppo e l’occupazione del nostro Paese e stanno continuando a farlo. Il Pnrr dovrebbe indirizzare la maggior quota possibile di risorse ad accompagnare e accelerare gli investimenti delle imprese”.
Nel corso dello scorso anno oltre l’87% delle aziende ha realizzato investimenti, con una contrazione dell’1,1% rispetto al 2019. La pandemia ha comportato una revisione dei piani di investimento per l’esigenza di adattare le organizzazioni al mutato contesto esterno: chiusura forzata di molte attività, ridotta mobilità delle persone, norme di distanziamento sociale, cambiamenti indotti nell’organizzazione del lavoro, importanti interventi pubblici in ambito monetario e fiscale.
Le scelte di investimento delle imprese si sono concentrate principalmente su Ict (51,9%), formazione (48,8%) e ambito produttivo (ricerca e sviluppo 45%, linee di produzione 39,9%).
La dimensione aziendale è risultato essere un fattore discriminante per la capacità di far fronte alla crisi. Le piccole imprese hanno mostrato maggiori criticità rispetto a quelle medio-grandi: una su cinque, infatti, non ha effettuato alcun investimento nel 2020, a causa dei cali di fatturato che hanno portato a rivedere i programmi.
Le previsioni per il 2021, invece, sono all’insegna di una moderata cautela: le imprese che prevedono di effettuare investimenti sono oltre l’87%, in linea con la chiusura del 2020. Le strategie di crescita prevedono una prevalenza di investimenti in formazione, ricerca e sviluppo e tutela ambientale; si confermano gli investimenti in Ict, linee di produzione e per lo sviluppo sui mercati esteri.
Per quanto riguarda i fattori di ostacolo alle decisioni di spesa, come era prevedibile gli aspetti congiunturali collegati all’incertezza sui tempi di superamento della crisi pandemica hanno rappresentato l’elemento più condizionante; tra i fattori strutturali, invece, la burocrazia (segnalata dal 32,5% delle imprese) è stata indicata come il principale ostacolo, seguito dalle criticità legate alle risorse finanziarie e umane.
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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