Tutti coloro che l’hanno conosciuto non possono che definire don Ercole Artoni una persona straordinaria; nel senso etimologico del termine significa “fuori dall’ordinario”, e don Ercole lo era certamente. Una vita piena di tantissimi avvenimenti, che paiono quasi incredibili se pensati vissuti da una sola persona: tant’è che il libro sulla sua vita (“Don Ercole Artoni, lo scomodo prete reggiano”) creò curiosità nazionali, dalla rivista Vanity Fair a una trasmissione di Maurizio Costanzo su Rai 1.
Don Ercole era colui che divenne famoso in tutta Italia perché prete eletto come indipendente nelle liste del Pci, era colui che occupava le case, che conobbe diversi brigatisti, che picchettava le fabbriche con gli operai, ma che fu anche inconsapevolmente al servizio di Gladio.
Era un prete insolito che insieme agli studenti preparava in anticipo i piani di contestazione, che collaborò con Loris Malaguzzi, che aiutò lo sviluppo di missioni in Brasile, che andò a Mosca nella delegazione italiana contro la guerra del Vietnam e a Berlino nella Commissione disarmo; ma che finì anche in carcere in isolamento, che fu protetto dalla malavita reggiana, che fu sostenuto dal comitato delle prostitute, che conobbe la “Primula Nera” Paolo Bellini, che liberò un giovane rapito… e soprattutto che, nel frattempo, apriva le porte della sua canonica e della sua casa ai più poveri e ai più emarginati, divenendo uno dei primi a dare risposte concrete per affrontare il flagello della droga sin dagli anni ’70.
Don Ercole era una persona straordinaria. E come tale aveva tantissime virtù ma anche dei difetti, come tutti gli esseri umani; ma il suo grande amore per i più poveri e i più bisognosi faceva sì che non si potesse che volergli profondamente bene e perdonargli ciò su cui non si era d’accordo. Per questo motivo ha sempre avuto intorno moltissime persone ad aiutarlo e a credere in lui: dai suoi famigliari, a cui va il mio abbraccio più forte, ai tanti amici.
Gli piaceva ricordare il 24 giugno del 1956, giorno nel quale divenne prete. Di quel giorno disse: “Fu il più bel giorno della mia vita”, ma si capì subito che il sacerdozio di Don Ercole sarebbe stato diverso da tanti altri. “C’era l’usanza di baciare le mani ai nuovi consacrati e quel giorno, in fila per me, c’era anche il capo cellula (il capo dei comunisti) di Villa Gaida. Lo ricordo ancora bene, perché fu un mezzo scandalo”.
Molte volte le scelte di don Ercole hanno creato “scandalo” nel mondo cattolico, ma le stesse scelte sono quelle che l’hanno portato ad aprire una comunità nella quale accogliere tossicodipendenti, detenuti, pazienti dell’Ospedale psichiatrico giudiziario. Una comunità che, anche grazie alla sua fede e alla sua guida, è cresciuta e negli anni ha accolto migliaia di persone.
Ora è giunto al termine del suo viaggio terreno e già lo immagino a creare qualche scompiglio in cielo con tutti quei “suoi ragazzi” che lo hanno preceduto in questi anni e magari insieme agli amici reggiani, come don Lorenzo Braglia o Loris De Pietri, che come lui hanno dedicato la vita ad aiutare i tossicodipendenti a ritrovare sé stessi. Una vita spesa per gli altri seguendo la sua scelta di “cercare di seguire il Vangelo in modo coerente e di mettere in pratica l’avvertimento di mio padre di non fregare mai i poveri”.
Matteo Iori
presidente del consiglio comunale di Reggio
Ultimi commenti
Anche l' Ordine degli Avvocati di Reggio Emilia .
Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
Diranno, sia a sinistra che a destra, che c'è un disinteresse della politica, in particolare dei giovani, diranno che molti non votano perché pensano che, […]