Un archivio che raccoglie, conserva e rende accessibile il codice sorgente di gran parte del software disponibile al mondo, da quello che guidò il computer di bordo di Apollo 11 sulla luna, ai codici che hanno dato vita alla computer music. Si chiama Software Heritage e sarà presto in Emilia-Romagna, a Bologna, ospitato dal Centro ricerche Enea.
La raccolta di un grande patrimonio culturale, promosso da Inria – l’istituto francese per la ricerca sull’informatica e l’automazione – in cooperazione con l’Unesco, che andrà ad arricchire il valore internazionale del Big Data Technopole di Bologna. Tra gli sponsor di questa iniziativa vi sono aziende come Microsoft, Intel e Google.
Il centro ricerche ENEA di Bologna ospiterà dunque il primo Mirror italiano di Software Heritage, un’iniziativa internazionale, no-profit, di grande rilevanza culturale, sociale e scientifica: così come la Biblioteca di Alessandria nacque per preservare il sapere del mondo antico, questa biblioteca digitale si propone di conservare un patrimonio espressione dell’ingegno, dell’intelligenza e della cultura del mondo moderno.
Il progetto è stato presentato questa mattina a Bologna, nell’ambito della manifestazione “After”, il festival del digitale, da Patrizio Bianchi, assessore regionale all’Università e alla Ricerca, Roberto Di Cosmo, professore ordinario di Informatica all’Università di Parigi e direttore di Software Heritage, Simonetta Pagnutti, della Divisione ICT dell’Enea e rappresentante per Enea nell’Associazione Big Data e Paola Salomoni, prorettrice alle Tecnologie digitali dell’Università di Bologna.
Una storia che nasce nel 1958. Quella tra Enea ed Inria è una collaborazione che non nasce per caso. Fu proprio Enea (allora Cnen Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare), nel 1958, a dare vita con l’Università di Bologna al primo centro di calcolo scientifico in Italia e a fondare, sempre a Bologna due anni dopo, il proprio centro di calcolo, raccogliendo un gruppo di ingegneri, fisici e matematici attorno ad uno dei più potenti calcolatori dell’epoca, l’IBM 704. Ancora oggi, con CRESCO6, ENEA dispone di una delle infrastrutture di supercalcolo più potenti in Italia.
Navigando tra i codici dell’archivio. Navigando nel mare di codici dell’archivio, ci si può imbattere in quello che guidò il computer di bordo di Apollo11, che 50 anni fa portò l’uomo sulla Luna: un testo di sessantamila linee messo a punto da un gruppo di programmatori diretto da Margaret Hamilton, matematica appena trentatreenne, diventata poi direttrice della Software Engineering Division del MIT di Boston. Una giovane ricercatrice a capo di un team di specialisti, ma non c’è da meravigliarsi: agli inizi e per lungo tempo l’arte di scrivere codici è stata appannaggio delle donne, formidabili interpreti di quello che oggi è definito pensiero computazionale.
Un’altra caratteristica di molti codici è quella di essere il frutto di un autentico lavoro di squadra: da una parte gli “scienziati del computer” e dall’altra gli esperti cosiddetti “di dominio”, cioè dell’ambito del problema indagato. Come nel caso di TAUmus, uno dei primi software al mondo per la computer music, realizzato negli anni Settanta grazie alla collaborazione tra un musicista, il maestro Pietro Grossi, pioniere della musica elettronica, e i ricercatori del Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico di Pisa.
L’informatica nella vita delle persone. L’informatica sta cambiando la vita delle persone: entro 7 anni si prevede che ci saranno 150 miliardi di sensori connessi in rete, una ventina per ciascun individuo sulla Terra. Tutti questi dispositivi funzionano grazie a dei programmi o codici. La tecnologia digitale ha infatti due componenti: l’hardware, cioè le macchine, e il software, cioè i codici. Software Heritage ha come parole d’ordine “raccogliere, conservare, condividere”, e l’obiettivo più importante è proprio quello di rendere questo patrimonio di codici accessibile a tutti.
Cos’è un codice sorgente. Un codice sorgente altro non è che un testo, con una proprietà straordinaria: quella di essere compreso allo stesso tempo da un uomo e da una macchina. Un insieme di istruzioni logico/matematiche, frutto di conoscenza e ingegno, che la macchina (computer in inglese, calcolatore in italiano) comprende e traduce in operazioni che esegue poi a velocità vertiginosa. Leonardo, il supercomputer che sarà ospitato al Tecnopolo di Bologna, sarà in grado di eseguire 270 milioni di miliardi di operazioni al secondo. Per avere un’idea, un uomo che fosse in grado di eseguire una operazione con la virgola in due secondi, per eseguire un simile calcolo impiegherebbe più dell’età dell’universo.
Cos’è un mirror. Il Centro ENEA di Bologna ospiterà un mirror, ovvero uno specchio, una replica dell’intero archivio, che conta oggi più di 6 miliardi di programmi sorgente. L’intento è garantirne la sicurezza e la disponibilità continua. Non solo: l’accesso a una simile miniera dicodici e algoritmi darà la possibilità di studiarli e analizzarli sviluppando metodi per ricavarne informazioni e nuova conoscenza; così in analogia con quanto avviene per i Big Data, si potrà parlare di “Big Code”. Dai viaggi nello spazio alla creazione della musica, all’interno di questo specialissimo archivio chiunque lo voglia potrà curiosare tra codici e algoritmi che risolvono problemi matematici e riproducono modelli di sistemi complessi secondo il modo di procedere della scienza e della tecnologia dettato dall’avvento dei calcolatori, e perché no, potrà, se vuole, caricare il proprio programma.
Sono un ex programmatore pensionato ho profilo linkedin. Da oltre 30 anni che contesto la missione apollo 11 in tutti gli ambienti in cui ho vissuto – in azienda e Fb Twitter – ma non ho avuto il piacere di un contradditorio con un tecnico esperto in elettronica. Recentemente, fatto amicizia con un ingegnere aerospaziale, ho chiesto la sua opinione: mi ha risposto che trattasi di una tecnologia troppo vecchia, non può giudicare. Pertanto se a Bologna c’è qualche tecnico che ha voglia di confrontarsi sono disponibile. Aggiungo: il programa ‘Orion’ della stessa Nasa tende a darmi ragione.