Con le elezioni del 25 settembre 2022, gli eredi del fascismo sono arrivati al governo? C’è un pericolo fascista in Italia?
Il libro di Franzinelli, “Il fascismo è finito il 25 aprile 1945”, se non è una risposta diretta a queste domande, perché è uscito nell’aprile del 2022, di sicuro, però, risponderebbe con un «Sì» a questi interrogativi. Chi lo leggerà non potrà non proiettare queste pagine all’oggi.
L’interesse del volume, che andrebbe letto in sequenza a quello di Chiara Colombini, “Anche i partigiani però…” (Laterza 2021), sta nella ricostruzione della continuità statuale tra il ventennio fascista e la repubblica italiana nata dalla Resistenza: dalla magistratura alla polizia e alle prefetture, dall’intelligence alle forze armate, dalla burocrazia ministeriale all’Università.
Il dopoguerra antifascista non ha compiuto quella “pulizia” degli apparati complice involontaria l’ambigua amnistia Togliatti (giugno 1946) – ministro della Giustizia nel governo De Gasperi e segretario del Partito comunista italiano – che ha offerto alla magistratura, ancora in tanta parte “nera”, l’opportunità di assolvere dai crimini compiuti i fascisti repubblicani (e sé stessa), e un’epurazione che ha fatto volare gli “stracci” ma non la sostanza. Una mano nera che è arrivata fino agli anni Settanta del Novecento, dalla strage di piazza Fontana (1969) a quella di Bologna (1980), senza scordarsi quella di Brescia (1974).
L’Italia del post Liberazione se era diventata formalmente antifascista era rimasta, per tanti versi, fascista nello “spirito”. La «vulgata antifascista» nel dopoguerra racconta, invece, «di un Paese piegato dalla violenza della dittatura, ma che nonostante tutto aveva serbato sentimenti di opposizione al mussolinismo». Ma non è vero, afferma lo storico, «“il «paradigma antifascista” ha enfatizzato i tratti della brutale oppressione e sminuito il consenso di massa del regime (ancorché, almeno in parte, canalizzato da un imponente apparato propagandistico). Ed è rimasto sottotraccia il problema del lascito della dittatura ai più diversi livelli: politico, legislativo, burocratico, morale, ideologico, di costume…».
L’opposizione al regime negli anni Trenta era ridotta al lumucino.
Se questa è l’eredità del mussolinismo, di sicuro il fascismo storico è morto il 25 aprile 1945 e «non ritornerà nelle forme storicamente inveratesi tra le due guerre mondiali … Il pericolo per la democrazia non è infatti rappresentato dagli inguaribili nostalgici» ma è rappresentato da chi sarebbe capace di «reinterpretare modelli rassicuranti proposti da un qualche personaggio carismatico, disponibile a reprimere minoranze dissidenti, e a conquistare le piazze profittando di situazioni confuse…». E tentativi di questo, tipo, nel corso della storia repubblicana fino ai giorni più recenti, sostiene Franzinelli, si sono verificati in numerose occasioni. Il loro brodo di coltura ribolle nella storia del Movimento sociale italiano, diretto erede della Repubblica sociale italiana (RSI), nato nel 1946, che nel 1969, con la segreteria di Giorgio Almirante, ex esponente del regime fascista di Salò, indosserà il “doppio petto”, presentabile in Parlamento, rispettoso del gioco democratico, ma armato di manganello nelle piazze e pronto ad instaurare uno Stato quantomeno forte e libero dai “rossi” (si pensi, ad esempio, alla Grecia dei colonnelli, alla Spagna di Franco). Nel 1972, unendosi al partito monarchico, prenderà vita MSI-DN; nel 1987 con Gianfranco Fini alla segreteria, inizierà il cammino che porterà la destra di ispirazione fascista alla costituzione di Alleanza Nazionale e alla svolta di Fiuggi, dove venne deciso di abbandonare i riferimenti ideologici al fascismo.
Se questa è l’evoluzione politica dei fantasmi di Salò – essendo, nel frattempo, scomparsi gli eredi anche diretti di Salò – continuano a esistere oggi o sottoforma di «fascisti del terzo millennio», come si sono definiti i militanti di CasaPound, o nel «sottobosco fascistoide cresciuto attorno a Matteo Salvini [Lega] e a Giorgia Meloni [Fratelli d’Italia], impressionante per rozzezza e volgarità di posizioni antidemocratiche» coloro che a quella storia si richiamano esplicitamente.
Franzinelli, a sostegno di quanto sostiene, cita numerosi episodi in cui questa “anima nera” si manifesta. Non ultima, forte della loro simbologia, è la mancata revoca in tanti paesi e città italiane della cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, della persistenza di vie urbane intitolate a gerarchi fascisti o dei tentativi di intitolare strade e piazze al [supposto] “padre della Patria” Giorgio Almirante.
La questione è, oggi, più che mai aperta ed è al centro del dibattito politico-culturale non solo in Italia ma anche in Europa e negli Stati Uniti.
Franzinelli è uno storico di vaglia, il consiglio è di seguirlo in questa sua ricostruzione dell’anima nera che da Salò si è insinuata nella “Repubblica nata dalla Resistenza”. Alla chiusura dell’ultima pagina si potrebbe anche non trovarsi del tutto concordi con il filo del suo ragionamento, ma di sicuro possiamo essere certi di aver imparato qualcosa in più sulla complessità della Storia repubblicana, che volutamente ho scritto con la “S” maiuscola.
(Mimmo Franzinelli, Il fascismo è finito il 25 aprile 1945, Laterza, 2022, pp. 157, 14 euro, recensione di Glauco Bertani).
(Si ringrazia la Libreria del Teatro, via Crispi 6, Reggio Emilia).
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Amara e splendida analisi che dovrebbe arrivare alle alte sfere!
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